" NELLE ARTI MARZIALI LA TECNICA E' COME IL COSMO: INFINITA.
NON VI SONO LIMITI"
(Hironori Ohtsuka)
Il Karate ci insegna che i movimenti del proprio corpo sono strettamente legati a come siamo, alla propria personalità. E l’allenamento, che coinvolge tutta la persona, diventa così occasione di entrare in diretto contatto con noi stessi, con i propri limiti e le proprie qualità, consentendo il miglioramento e l' accettarsi per come ci scopriamo ogni giorno. Il Karate aiuta a conoscere e migliorare se stessi, favorisce l’autostima (fiducia in sé, che non diventa prepotenza sull’altro), sviluppa capacità cognitive ( ad esempio, la memoria, l’attenzione e la flessibilità di pensiero) e motorie, aiuta a controllare le reazioni aggressive e sviluppa il rispetto per se stessi e per gli altri.
Il karate può essere praticato senza limiti di età, da maschi e femmine, da disabili, da chi soffre di disturbi mentali o del comportamento, da chi ha problemi fisici.
Si pratica il Karate con il concetto di SPORT INTEGRATO, concetto fondamentale che coinvolge ed avvia i ragazzi alla pratica motoria e sportiva, vista anche come beneficio fisico e psichico, è un compito fondamentale per un migliore sviluppo delle persone.
La finalità principale della nostra Scuola è quella dell’integrazione del ragazzo disabile nella società attraverso un’accurata programmazione delle attività ed un’attenta analisi delle problematiche. Inoltre l’attività motoria del Karate, rivolta alle persone disabili e “normodotati”, sempre in un contesto di integrazione, possa essere vissuta dai ragazzi come un momento di conquista di autonomia personale e di gratificazione per il miglioramento dell’autostima, mentre per un allievo “normodotato” come opportunità di arricchimento interiore e stimolo per superare i pregiudizi e i preconcetti rivolti alla “disabilita”.
Quando si parla i Karate integrato, non si fa altro che parlare di una disciplina
marziale che gestisce allenamenti tra allievi disabili e normodotati insieme. Un
allenamento di Karate integrato non ha nulla di specifico o particolare, si tratta
essenzialmente di una normale lezione di Karate, svolta senza particolari
accorgimenti, se non alcune modifiche apportate nel caso in cui nella lezione sia
presente un disabile motorio in carrozzina. Nella foto, è possibile vedere come in una
normale lezione di Karate è possibile eseguire ogni tipo di esercizio senza creare
divisioni specifiche tra allievi normodotati e disabili.
In questo caso, ci troviamo di fronte a due soggetti disabile, il disabile motorio che
usa la carrozzina per muoversi,e il disabile mentale (nella lezione è presente un
soggetto autistico anch’esso cintura gialla). La particolarità dell’allenamento si basa
esclusivamente sull’integrazione tra normodotati e disabili, ma non i sono alcune
modifiche nell’allenamento, non ci sono divisioni strutturali, entrambi si allenano nel
medesimo luogo e nel medesimo orario.
In Italia, non ci sono molte palestre che
attuano questa metodologia di Karate, se ne contano poche e in quel caso non hanno
un alto numero di partecipanti, evidentemente ciò è dovuto allo scetticismo da parte
di molte persone, il più provenienti dal Karate stesso, che non credono sia possibile
che un progetto del genere .
In verità, stiamo parlando di un arte marziale, che come
tutte le altre, si basa essenzialmente sul concetto di miglioramento del proprio corpo,
sia in campo cognitivo che in campo pratico.
La caratteristica essenziale del Karate,
non si basa esclusivamente sul migliorare e migliorarsi, altrimenti si tratterebbe di
un’arte marziale svolta da un singolo individuo senza che abbia contatti con le altre
persone. In effetti, non è questo che Funakoshi chiama : lo spirito del dojo, un
allenamento di Karate viene svolto con tutti allievi, senza fare distinzioni tra etnie,
lingua, società e quindi anche di integrità fisica o mentale, al fine di poter migliorare
insieme supportarsi al fine di raggiungere uno scopo comune qual è non il
raggiungimento del risultato agonistico, bensi il miglioramento di se stessi
mentalmente, fisicamente e spiritualmente.
In una lezione di Karate integrato gli unici accorgimenti che si devono apportare sono
quelli di adattare il Karate al disabile fisico, che si tratti di menomazioni o di varie
categorie di paralisi che costringono il soggetto all’uso della carrozzina, è ovvio che
in questo caso bisogna apportare le opportune modifiche all’allenamento, modifiche
che, tuttavia, non impediscono al disabile a partecipare all’allenamento insieme con
gli altri soggetti.
Non si tratta di applicare dei grandi sconvolgimenti, stiamo parlando
solo di piccole modifiche che il disabile deve apportare al suo modo di allenarsi, il
mancato uso delle gambe o di qualsiasi altro arto del corpo non deve essere un
impedimento, in quest’ottica, abbiamo visto come l’uso delle protesi può
tranquillamente sostituire gli arti perduti.
Ma nel caso del disabile in carrozzina, in tal
caso, gli accorgimenti si basano sull’applicare un’allenamento basato esclusiva mento
su tecniche degli arti superiori, andando a rafforzare petto, spalle, addome, bicipiti,
tricipiti e il resto della muscolatura che va dal tronco in su.
Gli spostamenti in avanti
o indietro, di lato o i cambi di direzione,possono essere allenati anche sul disabile in
carrozzina, certo i tempi di allenamento e di reazione saranno più lunghi, ma ciò non
impedisce al disabile di potersi allenare, insieme agli allievi normodotati, e di
esprimere al massimo le sue capacità.
L'allenamento: kata,kihon,kumite ...
Abbiamo detto che un allenamento generale di karate si svolge in diverse fasi :
stretching, kihon, kata e kumitè.
Tutti questi elementi sono essenziali per fare in
modo che un allenamento di Karate sia efficace e produca risultati prefissati. Nel caso
di un corso di Karate integrato che presenta nel suo interno sia allievi normodotati,
che allievi disabili, il discorso non è diverso.
Lo stretching iniziale non presenta
modifiche di vario genere, stiamo parlando di una fase di semplice riscaldamento, che
combina posizioni di allungamento muscolare sia per arti superiori che inferiori, e di
potenziamento muscolare tramite determinati esercizi a corpo libero facilmente
eseguibili.
Non si applicano particolari accorgimenti, in questa fase, si allenano in
maniera simultanea sia gli arti superiori che quelli inferiori, ovviamente gli esercizi
variano di complessità man mano che il grado di cintura aumenta, ma lo scopo è
sempre lo stesso, ossia preparare il corpo allo sforzo che ne seguirà subito dopo
l’allenamento.
In questa fase il disabile non trova particolari difficoltà, l’unica
eccezione va fatta tenendo conto delle capacità fisiche ed anatomiche residuali del
disabile in carrozzina. Ovviamente bisogna tener conto che un soggetto con paralisi,
che non può usare gambe o una determinata parte del corpo, tramite il Taiso iniziale,
può migliorare e potenziare la parte residuale ancora funzionante o intatta.
Nel caso del Kihon, ossia la combinazione di tecniche di parata e contrattacco con
uno o più movimenti, nel caso di disabilità mentali del tipo autismo o sindrome di
down, dove viene mantenuta l’integrità fisica, il soggetto disabile non riscontra
particolari problemi, mentre nel caso del disabile in carrozzina, il kihon prevede un
ritmo leggermente diverso, ovviamente le tecniche saranno adeguate alle capacità
funzionali, mentre i movimenti, o meglio il ritmo degli spostamenti seguiranno le
esigenze del disabile, ossia dovranno essere necessari a permettere al disabile fisico,
di muovere la carrozzina in modo da eseguire correttamente lo spostamento in
maniera efficace e nel minor tempo possibile.
Come possiamo vedere, ogni spostamento per il disabile in carrozzina, deve
richiedere il tempo necessario affinchè riesca a spostare con entrambe le mani le
ruote e infine eseguire la tecnica richiesta. Ciò non vale solo nel kihon ma anche ne
kata stesso, dove ogni combinazione, ogni tecnica richiede determinati spostamenti
seguiti da un ritmo preciso.
Ovviemente un disabile in carrozzina avrà un ritmo
leggermente diverso da quello dei normodotati, in quanto dovrà avere il tempo
necessario ad effettuare un spostamento con la carrozzina, pertanto il suo tempo nel
kata si basa su : tecnica, tempo necessario a spostare la carrozzina e infine tecnica
seguente.
Si tratta di ritmi diversi, ma ciò non toglie che con l’allenamento, tramite l’esercizio,
la ripetizione costante, i tempi di spostamento si dimezzino, ciò porterà il disabile a
eseguire il kata nello stesso modo e nelle stesse modalità dei normodotati.
Di certo un
disabile mentale, avrà un tempo di assimilazione delle tecniche più lungo per un
disabile fisico, in effetti l’esercizio ripetitivo e costante, può risultare una dura prova
per l’autistico o il soggetto con sindrome di down.
In tal caso molte volte, un
esercizio o una combinazione di tecniche non eseguita correttamente può risultare
frustante, per un soggetto disabile, tuttavia è qui che entra il gioco il compito del
maestro, ossia quello di dare degli input positivi all’allievo. Una semplice frase di
incoraggiamento, una modifica alla postura, o un richiamo severo o comprensivo che
sia, possono diventare elementi di grande importanza per il soggetto disabile che si
sentirà spinto a dare il massimo arrivando a grandi risultati.
Per quanto riguarda il Kumite, il discorso si fa più difficile. In genere nelle varie
discipline come il judo o la scherma, possiamo vedere come i soggetti disabili
riescano a gareggiare tra di loro nei più alti livelli di competizione, i non vedenti col
judo riescono ad eseguire tecniche notevoli pari a quelle eseguite dai normodotati,
nella scherma, invece, i disabili in carrozzina riescono ad eseguire affondi o parate di
fioretto o di spada a velocità impressionanti pari a quelle dei campioni olimpionici,
eppure non vedremo mai un Judoka non vedente gareggiare con un Judoka
normodotato, oppure non vedremo mai uno schermidore disabile gareggiare contro
uno schermidore normodotato.
Nel karate il discorso non è molto diverso, purtroppo
stiamo parlando del Kumite dove sono necessarie velocità e tempi di reazione
altissimi, i ritmi sono frenetici e il tempo che intercorre tra parata e contrattacco sono
brevissimi, se non addirittura nulli. Sarebbe difficile per un disabile mentale o fisico
che sia riuscire ad adeguarsi ai tempi di reazione dei normodotati. Tuttavia il
continuo allenamento, la pratica estenuante, la continua ricerca della forma perfetta di
Kumite dell’allievo, porta il Karateka disabile a una condizione fisica tale da poter
risultare competitivo ad alti livelli di agonismo.
Tutto si basa sul continuo
allenamento, il ripetersi costante di esercizi e tecniche eseguite di volta in volta, in
maniera sempre più precisa, a velocità sempre più elevate permettono all’atleta
disabile di poter effettuare rapidi spostamenti, tempestive combinazioni a velocità
impressionante che gli permetteranno di eguagliare e, dove possibile, superare gli
altri allievi normodotati.
Il segreto sta nel non porsi mai limiti, la velocità, una buona
tecnica sono tutti elementi essenziali di un allievo che non si arrende mai di fronte a
qualsiasi tipo di difficoltà, lo spirito di competizione sana che si crea nel dojo, è una
spinta ulteriore a indurre l’allievo disabile a voler fare di più, a voler dare il massimo
e cercare di superare i suoi compagni. Non si creano distinzioni tra disabile o
normodotati, tutti sono spinti dagli stessi obbietivi, ossia dare il massimo al fine di
raggiungere livelli competitivi ottimali, e il Kasrate integrato è un elemento
essenziale nel raggiungimento di tali obbiettivi, in esso l’atleta disabile può vedere
come gli altri allievi eseguono determinate tecniche, come si spostano per evitare un
colpo, come fare per riuscire ad entrare nella difesa dell’avversario, in poche prole
può confrontare i suoi movimenti con gli altri, capire cosa sbaglia e, senza avvilirsi,
riuscire a migliorare le sue tecniche tramite questo confronto cognitivo.
L'importanza del Maestro..
In Italia, non sono molte le palestre che praticano un Karate che riesca a mettere
insieme allievi normodotati con allievi disabili, in genere la maggior parte dei maestri
risulta, giustamente, più semplice attuare una differente allenamento tra normodotati
e disabili, cosi creando due classi distinte di allievi e due tipi diversi di allenamento.
In questo modo il disabile può allenarsi in maniera singolare al fine di riuscire a
ottenere risultati efficaci nelle competizioni. In verità, la maggior parte delle palestre
mira al risultato piuttosto che alla crescita cognitiva e fisica dell’allievo, perdendo di
vista il concetto fondamentale di crescita tramite il confronto con gli altri, che è un
elemento fondamentale nel karate stesso.
Secondo i maestri, non esistono
differenzazioni, nel caso in cui il corso riguardi dei bambini, tutto si riduce al gioco,
che si tratti di bambini disabili o normodotati, è bene che il maestro riesca a
coinvolgerli tramite una forma di karate esprimibile con il gioco in cui tutti possano
partecipare e apprendere. Nel caso di allievi di piccola età, è bene creare degli
espedienti di allenamento al Karate traducibili col gioco, ogni forma di kihon o kata
può essere rivisitata tramite un gioco, magari una sorta di gara a chi è più veloce
nell’eseguire la tecnica, o chi riesca passare più velocemente da una posizione
all’altra in forma corretta ed equilibrata, in poche parole, per i piccoli allievi disabili
o normodotati sarebbe opportuno creare un tipo di Karate che sia esprimibile tramite
il gioco, la forma più coinvolgente per un bambino per partecipare alle lezioni e
indurlo a migliorare e cercare di fare meglio degli altri compagni nel rispetto dei
compagni stessi.
In questo contesto, anche il bambino disabile si sentirà spinto a
partecipare e a dare il meglio nel gioco che gli viene proposto, diventando una delle
pedine fondamentali per portare la squadra o se stesso alla vittoria del gioco stesso,
valorizzando quindi le sue capacità.
Nel caso degli allievi di maggiore età, con una certa maturazione marziale, il discorso
sarà più complesso. In questo caso, il gioco non può diventare più una forma di
apprendimento al Karate, un allievo di cintura superiore (marrone o nera) è
consapevole che i risultati raggiunti e da raggiungere saranno frutti del continuo e
costante allenamento.
In questo caso, il compito del maestro, non srà più quello di
invogliare tramite il gioco i propri allievi, ma in tal caso sarà quello di guidare
l’allievo verso un miglioramento delle tecniche apprese quando era cintura inferiore,
l’allievo adulto non deve essere invogliato, ma spinto a dare il massimo in
allenamento, le modifiche tecniche, gli accorgimenti alla postura, vanno fatti
invogliando l’allievo, normodotato o disabile, al miglioramento. Un maestro di
Karate integrato non attua nessuna tipo di differenzazione, se c’è da rimproverare la
mancanza di dedizione o impegno nell’allenamento, non si crea problema se l’allievo
è disabile o normodotato.
Non si tratta di invogliare l’allievo a essere il migliore, ma
si tratta di portare l’allievo stesso a dare il massimo, con qualsiasi tipo di input
positivo severo o moderato che sia, l’importante è che l’allievo si senta una parte
integrante di un gruppo di artisti marziali che dà il massimo, che voglia migliorare
insieme alla ricerca di uno scopo comune, ossia il miglioramento interiore ed
esteriore.
Nel Karate integrato le parole, i suggerimenti e i consigli del maestro, sono dispensati
a ogni allievo e in qualsiasi modo, qualora il maestro si mostri apprensivo o morbido
nei confronti dell’allievo disabile, magari mostrando un’errata comprensione per le
sue condizioni, senza modificare delle tecniche sbagliate, una posizione sbagliata nel
Kata e non richiamata, senza correggere un atteggiamento svogliato nel Kumite o
nell’allenamento, finirà col creare una sorta di involontaria estraneazione del disabile
dal gruppo, il quale finirà col percepire questo suo senso di diversità, accentuando il
senso di diversità tra disabile e normodotato che dovrebbe essere del tutto estraneo al
Karate integrato.
lunedì 19 maggio 2014
venerdì 16 maggio 2014
SERA!!!Amici del Karate!
...KURURUNFA...Cosa vuol dire? ...OPPORSI ALLE ONDE
Il Kururunfa è un Kata che ha movimenti morbidi seguiti da altri veloci e potenti ed impiega una grande quantità di movimenti in NEKO ASHI DACHI. Tuttavia nel Kururunfa la differenza fra "duro" e "morbido" è molto marcata, a causa delle tecniche lente e concentrate che sono seguite da una breve pausa e da una serie di colpi esplosivi e devastanti con lo scopo di distruggere l'avversario.
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...KURURUNFA...Cosa vuol dire? ...OPPORSI ALLE ONDE
Il Kururunfa è un Kata che ha movimenti morbidi seguiti da altri veloci e potenti ed impiega una grande quantità di movimenti in NEKO ASHI DACHI. Tuttavia nel Kururunfa la differenza fra "duro" e "morbido" è molto marcata, a causa delle tecniche lente e concentrate che sono seguite da una breve pausa e da una serie di colpi esplosivi e devastanti con lo scopo di distruggere l'avversario.
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martedì 13 maggio 2014
BUONGIORNOOO!!!
...E se vi proponessi un video spettacolare, sul meglio del meglio del KUMITE...Come reagireste?
Fatemi sapere cosa ne pensate...
...E se vi proponessi un video spettacolare, sul meglio del meglio del KUMITE...Come reagireste?
Fatemi sapere cosa ne pensate...
lunedì 12 maggio 2014
I Gradi del Karate
La gerarchia dei gradi di cintura nelle arti del budo è detta kyudan e si suddivide nel sistema degli allievi (Kyū o mudansha) e in quello delle cinture nere (dan: yudansha e kodansha).
Nel budo si considera il kyu come un grado di scuola o di apprendimento e il dan come un grado di autoperfezionamento.
Prima dell'arrivo in Giappone del maestro Funakoshi non esistevano gradi nel karate, fu lui ad inserirli nel 1926, ispirato dal fondatore del Jūdō moderno, Jigoro Kano, che a sua volta si richiamò ad un uso proprio degli antichi sistemi marziali giapponesi.
A seconda degli stili del karate varia la suddivisione delle cinture.
Cinture colorate
All'inizio si indossa la cintura bianca: a volte è necessario sostenere un esame per ottenerla e a volte no, questo dipende dalle regole della palestra e/o federazione di appartenenza. Se si indossa la cintura bianca senza aver fatto l'esame, si è un mukyu, ovvero un senza-cintura.
Chiunque voglia apprendere le arti marziali comincia nel livello shu (della forma) che comprende l'intero sistema kyu. In esso rientra l'apprendimento basilare delle tecniche (omote) e il raggiungimento del livello psicofisico necessario per toccare i livelli superiori. Si tratta di costruire e rafforzare autodisciplina, volontà, pazienza, comprensione e convivenza con altri, elementi senza i quali non è possibile progredire. Durante questo primo periodo lo sviluppo della tecnica è l'unico criterio di misurazione utilizzabile.
Originariamente il mudansha era rappresentato dalla sola cintura bianca, simbolo della "non conoscenza, della purezza e della libertà della mente"; in seguito fu introdotta la suddivisione tra cintura bianca e cintura marrone, cui si aggiunse poi quella dei colori intermedi. Chi non è pronto per fare gli esami per la propria cintura successiva può scegliere o di non fare gli esami o di prendere una cintura intermedia che comporta un esame più facile, (non molti maestri offrono questa possibilità). Riguardo alla cintura blu non si usa tanto lo "shi kyu" ma questa è una scelta del maestro invece i "san kyu" "ni kyu" e l' "ichi kyu" sono obbligatori.
Omote significa "basilare, fondamentale" e simboleggia il lato visibile dell'arte marziale, quello che ognuno può apprendere: tutte le tecniche vengono scomposte e studiate ricercando la perfezione formale, priva di contenuti spirituali.
Yudansha - Il guerriero
Gradi di maestria tecnica
Livelli di "dan": cintura nera (la cintura nera va dal 1º al 10º dan)
Le classificazioni per i kyū variano da federazione a federazione, ed esistono, presso alcune scuole, ulteriori cinture intermedie (bianca, bianco-gialla, gialla, gialla-arancione, arancione, arancione-verde, verde, verde-blu, blu, blu-marrone, marrone, marrone-nera). Dopo la cintura marrone si passa a cintura nera che rimane tale al raggiungimento di gradi superiori (dan), dal 1º in poi, anche se è possibile trovare federazioni che utilizzano la cintura bianco-rossa per il 6°, 7°, 8° dan e rossa per i 9º e 10º dan. L'ideogramma dan si trova anche nella parola shodan, che significa "principiante", per dimostrare come l'aver impiegato alcuni anni per diventare cintura nera sia davvero poca cosa in confronto a tutti gli anni di allenamento che aspettano. Generalmente, le cinture si ottengono per esami fino al 5º dan, mentre dal 6º dan in poi, il grado viene assegnato solo per meriti speciali e non più in seguito ad esami, anche se il modo in cui vengono rilasciati i più alti gradi dan può variare da federazione a federazione. Per i gradi più elevati non viene valutata solamente la mera capacità tecnica raggiunta ma soprattutto le doti di esperienza, didattica, organizzazione, sviluppo e dedizione a quest'arte marziale.
Bisogna però sottolineare come il formalismo relativo al vestiario e alle cinture iniziò solamente con lo sviluppo di massa del karate e quindi con la sua commercializzazione, soprattutto in occidente. Alle origini, il karate era praticato con i vestiti quotidiani, spesso solamente con la biancheria intima e non esistevano le graduatorie per cinture. Da molti praticanti di karate tradizionale, la cintura è considerata un simbolo di un certo livello di conoscenza e di percorso ma non possiede certo un valore meramente di grado.
In origine la cintura era solo bianca. Con il passare del tempo, a furia di utilizzarla, essa si sporcava e di conseguenza si anneriva. Perciò più una cintura era nera, ovvero sporca, più significava che veniva indossata da molto tempo; ciò significava che uno con la cintura nera praticava il karate da molto e quindi era bravo, mentre uno con la cintura bianca era agli inizi. Da qui ha avuto origine la colorazione delle cinture bianca e nera e in seguito tutte le colorazioni intermedie in ordine cromatico.
1º dan: grado dell'allievo che cerca la via; Kuro obi Shodan (rarissimamente Ichidan)
2º dan: grado dell'allievo all'inizio della via (dopo almeno 2 anni dal 1º dan); Kuro obi Nidan
3º dan: grado degli allievi riconosciuti (dopo almeno 3 anni dal 2º dan); Kuro obi Sandan
4º dan: grado degli esperti tecnici (dopo almeno 4 anni dal 3º dan). Kuro obi Yodan
Il livello yudansha giunge sino al quarto dan e corrisponde al livello della "libertà della forma" (ha), il livello del guerriero. Il praticante può divenire un esperto di quella stessa tecnica utilizzata ai livelli kyu ma compresa nel suo significato reale.
Il 1º dan (shodan) nel karate consente di indossare la cintura nera ed è il primo passo dell'allievo lungo la Via (do): in questo momento comincia il vero karate. Lo studio si raffina e l'arte marziale viene valutata anche dal punto di vista psicofisico: l'allievo è in grado di capire che dietro l'esercizio fisico c'è la ricerca di uno stato mentale più appagante, così i gradi si evidenzieranno solo quando il praticante avrà superato il livello della dipendenza dalla forma.
Nel 2º dan (nidan) e nel 3º dan (sandan) si uniscono la comprensione dell'importanza dell'atteggiamento mentale e la maggiore efficacia delle tecniche.
Il 4º dan (yondan) è il "livello dell'esperto" e del combattente completo. Il confine della tecnica puramente corporea viene raggiunto e chi lo acquisisce sa che per poter migliorare dovrà cercare e percorrere nuove vie. Egli interiorizza gli aspetti spirituali dell'arte vivendoli nel dojo e nel quotidiano. A questo livello si forma il legame tra la filosofia dell'arte marziale e tecnica. Si possono controllare lo spirito, il respiro e l'energia (Ki) con l'esercizio fisico, legarli alla tecnica e svilupparli al massimo: nella ricerca della perfezione interiore l'esperienza e la maturità offriranno un fondamentale aiuto.
Kodansha - La maestria spirituale
Gradi di maestria spirituale
5º dan: - renshi kokoro, grado della conoscenza (dopo almeno 5 anni dal 4º dan); Kuro obi Godan
6º dan: - renshi (dopo almeno 6 anni dal 5º dan, si acquisisce per merito come i gradi successivi); Kuro obi Rokudan
7º dan: - khioshi (dopo almeno 7 anni dal 6º dan). Kuro obi Sichidan (oppure Nanadan)
I gradi kodansha sono propri del vero maestro di budo: solo essi permettono di condurre un allievo al di là degli aspetti puramente formali della tecnica preparandolo alle conoscenze della Via (do).
Kokoro è colui che raggiunge questa capacità tra il 5° e il 6º dan, ad una età minima di trent'anni perché tale stato presuppone oltre all'esperienza di budo anche quella di vita. Questi dan vengono chiamati anche renshi ed indicano la maturità spirituale di un uomo: sono perciò i gradi dei maestri autonomi.
Generalmente fino al 5° dan è possibile ottenere il grado per mezzo di un esame dopo aver studiato un programma prestabilito, oltre al 5° dan i gradi vengono conferiti solo per meriti conseguiti nell'insegnamento, per comprovata dedizione all'arte e per la diffusione del Karate e dei suoi valori (anche se il modo in cui vengono rilasciati i più alti gradi dan può variare da federazione a federazione).
Irokokoro - La maturità
Grado della maturità
8º dan: - khioshi (dopo almeno 8 anni dal 7º dan); Kuro obi Hachidan
9º dan: - hanshi (dopo almeno 9 anni dall'8º dan); Kuro obi Kudan
10º dan: - hanshi (dopo almeno 10 anni dal 9º dan). Kuro obi Judan
I gradi di maestria più elevati nel budo si chiamano irokokoro e sono espressioni della maturità, legati ai titoli khioshi (7º e 8º dan) e hanshi (9º e 10º dan).
Hanshi vive in totale armonia esteriore e interiore: ha superato ogni ostacolo interno (satori) abbandonando la dipendenza dal possesso e dal prestigio ed anche la paura della morte: sua missione sarà il trovare un degno successore.
Renshi e khioshi rappresentano la cima della piramide dell'insegnamento mentre hanshi ne resta al di fuori: il suo compito non è quello di insegnare a tutti ma di indirizzare i già esperti verso l'ultimo gradino. Egli apre le porte segrete a quanti siano cresciuti oltre la sola tecnica. Questi gradi sono i più elevati raggiungibili in vita e solo pochissimi uomini li hanno ottenuti.
Questi sono i tipici gradi dello stile Shotokan, altri stili (ryū), associazioni (kai), scuole (dojo), possono avere variazioni sia sui colori delle cinture, sia sui tempi che devono intercorrere tra i diversi gradi o livelli.
Curiosità
Il maestro Gichin Funakoshi asseriva spesso dire a chiunque chiedesse se si potesse raggiungere il 10º Dan: "Quando sarai morto ti verrà conferito il 10º Dan: il 10°Dan significa conoscenza assoluta, non avere più niente da imparare, e finché sei in vita c'è sempre da imparare
Nel budo si considera il kyu come un grado di scuola o di apprendimento e il dan come un grado di autoperfezionamento.
Prima dell'arrivo in Giappone del maestro Funakoshi non esistevano gradi nel karate, fu lui ad inserirli nel 1926, ispirato dal fondatore del Jūdō moderno, Jigoro Kano, che a sua volta si richiamò ad un uso proprio degli antichi sistemi marziali giapponesi.
A seconda degli stili del karate varia la suddivisione delle cinture.
Cinture colorate
All'inizio si indossa la cintura bianca: a volte è necessario sostenere un esame per ottenerla e a volte no, questo dipende dalle regole della palestra e/o federazione di appartenenza. Se si indossa la cintura bianca senza aver fatto l'esame, si è un mukyu, ovvero un senza-cintura.
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6º kyu (roku kyu): cintura bianca; Shiro obi Rokukyu |
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5º kyu (go kyu): cintura gialla; Kiiro obi Gokyu |
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4º kyu (shi kyu): cintura arancio (o rossa); Daidaiiro obi (Aka obi) |
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Cintura verde 3º kyu Midori obi
Sankyu
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2º kyu (ni kyu): cintura blu; Aoiro obi Nikyu
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1º kyu (sho kyu o ichi kyu): cintura marrone. Kuriiro obi Shokyu (rarissimamente Ichikyu)6º kyu (roku kyu) |
Chiunque voglia apprendere le arti marziali comincia nel livello shu (della forma) che comprende l'intero sistema kyu. In esso rientra l'apprendimento basilare delle tecniche (omote) e il raggiungimento del livello psicofisico necessario per toccare i livelli superiori. Si tratta di costruire e rafforzare autodisciplina, volontà, pazienza, comprensione e convivenza con altri, elementi senza i quali non è possibile progredire. Durante questo primo periodo lo sviluppo della tecnica è l'unico criterio di misurazione utilizzabile.
Originariamente il mudansha era rappresentato dalla sola cintura bianca, simbolo della "non conoscenza, della purezza e della libertà della mente"; in seguito fu introdotta la suddivisione tra cintura bianca e cintura marrone, cui si aggiunse poi quella dei colori intermedi. Chi non è pronto per fare gli esami per la propria cintura successiva può scegliere o di non fare gli esami o di prendere una cintura intermedia che comporta un esame più facile, (non molti maestri offrono questa possibilità). Riguardo alla cintura blu non si usa tanto lo "shi kyu" ma questa è una scelta del maestro invece i "san kyu" "ni kyu" e l' "ichi kyu" sono obbligatori.
Omote significa "basilare, fondamentale" e simboleggia il lato visibile dell'arte marziale, quello che ognuno può apprendere: tutte le tecniche vengono scomposte e studiate ricercando la perfezione formale, priva di contenuti spirituali.
Yudansha - Il guerriero
Gradi di maestria tecnica
Livelli di "dan": cintura nera (la cintura nera va dal 1º al 10º dan)
Le classificazioni per i kyū variano da federazione a federazione, ed esistono, presso alcune scuole, ulteriori cinture intermedie (bianca, bianco-gialla, gialla, gialla-arancione, arancione, arancione-verde, verde, verde-blu, blu, blu-marrone, marrone, marrone-nera). Dopo la cintura marrone si passa a cintura nera che rimane tale al raggiungimento di gradi superiori (dan), dal 1º in poi, anche se è possibile trovare federazioni che utilizzano la cintura bianco-rossa per il 6°, 7°, 8° dan e rossa per i 9º e 10º dan. L'ideogramma dan si trova anche nella parola shodan, che significa "principiante", per dimostrare come l'aver impiegato alcuni anni per diventare cintura nera sia davvero poca cosa in confronto a tutti gli anni di allenamento che aspettano. Generalmente, le cinture si ottengono per esami fino al 5º dan, mentre dal 6º dan in poi, il grado viene assegnato solo per meriti speciali e non più in seguito ad esami, anche se il modo in cui vengono rilasciati i più alti gradi dan può variare da federazione a federazione. Per i gradi più elevati non viene valutata solamente la mera capacità tecnica raggiunta ma soprattutto le doti di esperienza, didattica, organizzazione, sviluppo e dedizione a quest'arte marziale.
Bisogna però sottolineare come il formalismo relativo al vestiario e alle cinture iniziò solamente con lo sviluppo di massa del karate e quindi con la sua commercializzazione, soprattutto in occidente. Alle origini, il karate era praticato con i vestiti quotidiani, spesso solamente con la biancheria intima e non esistevano le graduatorie per cinture. Da molti praticanti di karate tradizionale, la cintura è considerata un simbolo di un certo livello di conoscenza e di percorso ma non possiede certo un valore meramente di grado.
In origine la cintura era solo bianca. Con il passare del tempo, a furia di utilizzarla, essa si sporcava e di conseguenza si anneriva. Perciò più una cintura era nera, ovvero sporca, più significava che veniva indossata da molto tempo; ciò significava che uno con la cintura nera praticava il karate da molto e quindi era bravo, mentre uno con la cintura bianca era agli inizi. Da qui ha avuto origine la colorazione delle cinture bianca e nera e in seguito tutte le colorazioni intermedie in ordine cromatico.
1º dan: grado dell'allievo che cerca la via; Kuro obi Shodan (rarissimamente Ichidan)
2º dan: grado dell'allievo all'inizio della via (dopo almeno 2 anni dal 1º dan); Kuro obi Nidan
3º dan: grado degli allievi riconosciuti (dopo almeno 3 anni dal 2º dan); Kuro obi Sandan
4º dan: grado degli esperti tecnici (dopo almeno 4 anni dal 3º dan). Kuro obi Yodan
Il livello yudansha giunge sino al quarto dan e corrisponde al livello della "libertà della forma" (ha), il livello del guerriero. Il praticante può divenire un esperto di quella stessa tecnica utilizzata ai livelli kyu ma compresa nel suo significato reale.
Il 1º dan (shodan) nel karate consente di indossare la cintura nera ed è il primo passo dell'allievo lungo la Via (do): in questo momento comincia il vero karate. Lo studio si raffina e l'arte marziale viene valutata anche dal punto di vista psicofisico: l'allievo è in grado di capire che dietro l'esercizio fisico c'è la ricerca di uno stato mentale più appagante, così i gradi si evidenzieranno solo quando il praticante avrà superato il livello della dipendenza dalla forma.
Nel 2º dan (nidan) e nel 3º dan (sandan) si uniscono la comprensione dell'importanza dell'atteggiamento mentale e la maggiore efficacia delle tecniche.
Il 4º dan (yondan) è il "livello dell'esperto" e del combattente completo. Il confine della tecnica puramente corporea viene raggiunto e chi lo acquisisce sa che per poter migliorare dovrà cercare e percorrere nuove vie. Egli interiorizza gli aspetti spirituali dell'arte vivendoli nel dojo e nel quotidiano. A questo livello si forma il legame tra la filosofia dell'arte marziale e tecnica. Si possono controllare lo spirito, il respiro e l'energia (Ki) con l'esercizio fisico, legarli alla tecnica e svilupparli al massimo: nella ricerca della perfezione interiore l'esperienza e la maturità offriranno un fondamentale aiuto.
Kodansha - La maestria spirituale
Gradi di maestria spirituale
5º dan: - renshi kokoro, grado della conoscenza (dopo almeno 5 anni dal 4º dan); Kuro obi Godan
6º dan: - renshi (dopo almeno 6 anni dal 5º dan, si acquisisce per merito come i gradi successivi); Kuro obi Rokudan
7º dan: - khioshi (dopo almeno 7 anni dal 6º dan). Kuro obi Sichidan (oppure Nanadan)
I gradi kodansha sono propri del vero maestro di budo: solo essi permettono di condurre un allievo al di là degli aspetti puramente formali della tecnica preparandolo alle conoscenze della Via (do).
Kokoro è colui che raggiunge questa capacità tra il 5° e il 6º dan, ad una età minima di trent'anni perché tale stato presuppone oltre all'esperienza di budo anche quella di vita. Questi dan vengono chiamati anche renshi ed indicano la maturità spirituale di un uomo: sono perciò i gradi dei maestri autonomi.
Generalmente fino al 5° dan è possibile ottenere il grado per mezzo di un esame dopo aver studiato un programma prestabilito, oltre al 5° dan i gradi vengono conferiti solo per meriti conseguiti nell'insegnamento, per comprovata dedizione all'arte e per la diffusione del Karate e dei suoi valori (anche se il modo in cui vengono rilasciati i più alti gradi dan può variare da federazione a federazione).
Irokokoro - La maturità
Grado della maturità
8º dan: - khioshi (dopo almeno 8 anni dal 7º dan); Kuro obi Hachidan
9º dan: - hanshi (dopo almeno 9 anni dall'8º dan); Kuro obi Kudan
10º dan: - hanshi (dopo almeno 10 anni dal 9º dan). Kuro obi Judan
I gradi di maestria più elevati nel budo si chiamano irokokoro e sono espressioni della maturità, legati ai titoli khioshi (7º e 8º dan) e hanshi (9º e 10º dan).
Hanshi vive in totale armonia esteriore e interiore: ha superato ogni ostacolo interno (satori) abbandonando la dipendenza dal possesso e dal prestigio ed anche la paura della morte: sua missione sarà il trovare un degno successore.
Renshi e khioshi rappresentano la cima della piramide dell'insegnamento mentre hanshi ne resta al di fuori: il suo compito non è quello di insegnare a tutti ma di indirizzare i già esperti verso l'ultimo gradino. Egli apre le porte segrete a quanti siano cresciuti oltre la sola tecnica. Questi gradi sono i più elevati raggiungibili in vita e solo pochissimi uomini li hanno ottenuti.
Questi sono i tipici gradi dello stile Shotokan, altri stili (ryū), associazioni (kai), scuole (dojo), possono avere variazioni sia sui colori delle cinture, sia sui tempi che devono intercorrere tra i diversi gradi o livelli.
Curiosità
Il maestro Gichin Funakoshi asseriva spesso dire a chiunque chiedesse se si potesse raggiungere il 10º Dan: "Quando sarai morto ti verrà conferito il 10º Dan: il 10°Dan significa conoscenza assoluta, non avere più niente da imparare, e finché sei in vita c'è sempre da imparare
Il Karate e le Donne...
Oggi, molto diversamente dal passato, sempre più donne praticano il karate.
Non credo che sia particolarmente utile chiedersi il perché, tuttavia sono proprio le donne che pensano di avvicinarsi a questa pratica che domandano se può essere opportuno lasciarsi affascinare.
Dal punto di vista strettamente legato alla tecnica di sicuro non c'è nessuna controindicazione. Anzi le donne, per le loro caratteristiche fisiche, risultano avere una agilità e abilità che le predispongono positivamente alla pratica del karate.
Quello che chiedono spesso le praticanti è di poter praticare essendo considerate come il resto del gruppo formato dall'altro sesso, ma penso che tale discriminazione risieda più nella loro volontà di affermarsi come individuo "alla pari" , che nei compagni di allenamento o nel maestro. E credo che questo sia il frutto di pregiudizi e informazioni errate.
Di sicuro generalmente si pensa alla pratica del karate come ottimo metodo per difesa personale, ma ritengo opportuno sottolineare che non deve essere questo l'unico aspetto da valutare.
Caratteristiche come l'acquisizione di una profonda conoscenza del proprio corpo, l'accettazione dei propri limiti e l'esaltazione delle proprie capacità sono solo alcuni degli elementi che si affiancano ad un percorso che mette in relazione le abilità fisiche a quelle mentali.
Molti possono pensare che il karate possa compromettere i comportamenti legati alla femminilità, a questo proposito cito un intervento risalente al secondo Congresso di Medicina dello Sport tenutosi lo scorso luglio 2003 della endocrinologa Maria Luisa Brandi, docente all'Università di Firenze e tra i massimi esperti in materia di osteoporosi e di medicina sportiva in Italia:
«Qualcuno si arrabbierà ma diciamo la verità: meno danza classica e più atletica, meno cavallo e più Arti Marziali, meno sci e più nuoto. "Bambine, l'800 è finito, ditelo ai vostri genitori. Per crescere bene occorrono una buona struttura muscolo-scheletrica ed un fisico equilibrato"» «Per una ragazza è essenziale imparare le Arti Marziali: oltre al fatto che servono all'autodifesa di cui si può sempre aver bisogno, sono discipline complete, danno una concentrazione straordinaria, fiducia in se stessi, senso dell'equilibrio e concezione dello spazio che sono i requisiti primi dell'eleganza del portamento...»
Per completezza di informazione aggiungiamo cenni storici riguardanti le donne nelle arti marziali e alcuni pareri discordanti di grandi maestri:
La lista dei contributi femminilli alle arti marziali non è affatto breve. Cominciamo dal queste tre rappresentanti:
Alcune dichiarazioni di grandi maestri
Nakayama:
"Perché le donne devono fare le gare, farci vedere chi vince o non vince? Nei combattimenti occidentali, come la boxe o la lotta, non esistono gare femminili. Perché nel karate? Per il momento io non posso credere che le donne debbano fare gare di kumite. Possono raggiungere lo stesso risultato attraverso strade diverse".
Shirai:
"Le donne sono tecnicamente molto precise. Io considero più importante praticare un buon karate, fondamentali e kata, che il kumite sportivo. A mio avviso non troppe donne dovrebbero praticare il kumite, anche se alcune donne hanno buone tecniche per il combattimento libero".
Kanazawa:
"Non c'è una ragione precisa, ma credo che nell'universo esistano due poli, il positivo e il negativo. L'uomo è il positivo, la donna è il negativo: la donna non è fatta per il combattimento".
Yamaguchi:
"Ritengo che togliere il kumite alle donne sarebbe come escluderle da una buona parte del Karate-Budo. Per una donna inoltre il kumite riveste doppia importanza, in quanto le offre un ottimo mezzo di difesa personale. È importante che le donne imparino lo stesso spirito del karate e ricerchino lo stesso fine, che è comune a uomini e donne".
Non credo che sia particolarmente utile chiedersi il perché, tuttavia sono proprio le donne che pensano di avvicinarsi a questa pratica che domandano se può essere opportuno lasciarsi affascinare.
Dal punto di vista strettamente legato alla tecnica di sicuro non c'è nessuna controindicazione. Anzi le donne, per le loro caratteristiche fisiche, risultano avere una agilità e abilità che le predispongono positivamente alla pratica del karate.
Quello che chiedono spesso le praticanti è di poter praticare essendo considerate come il resto del gruppo formato dall'altro sesso, ma penso che tale discriminazione risieda più nella loro volontà di affermarsi come individuo "alla pari" , che nei compagni di allenamento o nel maestro. E credo che questo sia il frutto di pregiudizi e informazioni errate.
Di sicuro generalmente si pensa alla pratica del karate come ottimo metodo per difesa personale, ma ritengo opportuno sottolineare che non deve essere questo l'unico aspetto da valutare.
Caratteristiche come l'acquisizione di una profonda conoscenza del proprio corpo, l'accettazione dei propri limiti e l'esaltazione delle proprie capacità sono solo alcuni degli elementi che si affiancano ad un percorso che mette in relazione le abilità fisiche a quelle mentali.
Molti possono pensare che il karate possa compromettere i comportamenti legati alla femminilità, a questo proposito cito un intervento risalente al secondo Congresso di Medicina dello Sport tenutosi lo scorso luglio 2003 della endocrinologa Maria Luisa Brandi, docente all'Università di Firenze e tra i massimi esperti in materia di osteoporosi e di medicina sportiva in Italia:
«Qualcuno si arrabbierà ma diciamo la verità: meno danza classica e più atletica, meno cavallo e più Arti Marziali, meno sci e più nuoto. "Bambine, l'800 è finito, ditelo ai vostri genitori. Per crescere bene occorrono una buona struttura muscolo-scheletrica ed un fisico equilibrato"» «Per una ragazza è essenziale imparare le Arti Marziali: oltre al fatto che servono all'autodifesa di cui si può sempre aver bisogno, sono discipline complete, danno una concentrazione straordinaria, fiducia in se stessi, senso dell'equilibrio e concezione dello spazio che sono i requisiti primi dell'eleganza del portamento...»
Per completezza di informazione aggiungiamo cenni storici riguardanti le donne nelle arti marziali e alcuni pareri discordanti di grandi maestri:
La lista dei contributi femminilli alle arti marziali non è affatto breve. Cominciamo dal queste tre rappresentanti:
-
Ng Mui
Leggendaria sacerdotessa, sfuggita alla distruzione del monastero Shaolin di Fujian. Diventò celebre per aver crato uno stile personale basato sull'osservazione dei comportamenti degli animali in combattimenti, in particolare prese spunto osservando una lotta tra un serpente e una gru. Si narra che utilizzò il suo metodo di combattimento per resistere alle insistenzi avances signore della guerra locale. -
Yim Wing-Chun
Allieva di Ng Mui. Dopo la creazione del suo stile personale, Ng Mui trasferi' le sue esperienze ad una altra donna: Yim Wing-chun. Dal suo nome deriva lo stile reso popolare in occidente da Bruce Lee. -
Yonamine Chiru
Nel karate di Okinawa si ricorda la figura di Yonamine Chiru, moglie di "Karate" Sakugawa, maestro di Matsumura e caposcuola dello Shuri-te, che l'avrebbe sposata dopo essere stato sconfitto da lei in combattimento.
Alcune dichiarazioni di grandi maestri
Nakayama:
"Perché le donne devono fare le gare, farci vedere chi vince o non vince? Nei combattimenti occidentali, come la boxe o la lotta, non esistono gare femminili. Perché nel karate? Per il momento io non posso credere che le donne debbano fare gare di kumite. Possono raggiungere lo stesso risultato attraverso strade diverse".
Shirai:
"Le donne sono tecnicamente molto precise. Io considero più importante praticare un buon karate, fondamentali e kata, che il kumite sportivo. A mio avviso non troppe donne dovrebbero praticare il kumite, anche se alcune donne hanno buone tecniche per il combattimento libero".
Kanazawa:
"Non c'è una ragione precisa, ma credo che nell'universo esistano due poli, il positivo e il negativo. L'uomo è il positivo, la donna è il negativo: la donna non è fatta per il combattimento".
Yamaguchi:
"Ritengo che togliere il kumite alle donne sarebbe come escluderle da una buona parte del Karate-Budo. Per una donna inoltre il kumite riveste doppia importanza, in quanto le offre un ottimo mezzo di difesa personale. È importante che le donne imparino lo stesso spirito del karate e ricerchino lo stesso fine, che è comune a uomini e donne".
venerdì 9 maggio 2014
L' Arte del KIAI
Il Kiai è un grido pieno di forza ed intenzione a costituire il desiderio di portare a compimento una tecnica marziale. La parola è formata da “ki” , in giapponese mente , volontà, disposizione d’animo e da “ai ”, contrazione del verbo “awaseru ”, che significa unire , congiungere, ovvero una manifestazione dell’energia interna con un suono che crea . A questo scopo si utilizza il grido nella forma esteriore come modo di controllare il ki, come arte di dirigere le energie . Nelle pratiche marziali il kiai è di estrema importanza e questo studio, che raggiunse i livelli massimi nel Giappone Feudale, è ancora oggi impiegato in molte discipline come il karate, il judo e l’aikido.
La parola, Kiai è composta da due ideogrammi:
Ki , raffigura l'energia vitale e universale comune a tutti gli esseri viventi.
Ai , rappresenta l'armonia universale.
Esprime, anche, un grido che rivela e manifesta quel principio orientale di unità ed armonia presente in ogni cosa. Fisicamente, esso permette di collegare, attraverso la cintura addominale, la forza delle masse muscolari che si trovano nella parte bassa con quelle della parte alta del corpo. Energicamente, rivela le vibrazioni dei Chakra.
Le origini
In Giappone si sa pochissimo dell’arte del kiai, ma sono visibili le eredità lasciate ai maggiori Maestri delle arti marziali che tutt’oggi subordinano i fattori esterni del combattimento, armi e tecniche, a elementi di natura interiore, controllo e potenza. Nello specifico quest’arte era vista come l’impiego della voce umana in combattimento, con il duplice effetto di intimorire il nemico e rafforzare il proprio spirito. La particolarità di quest’arte è, in realtà, la tecnica usata, un vettore di eccezionale impatto emotivo: la voce umana. Kiai era il nome dato generalmente a quello specifico metodo di combattimento basato sull’impiego del grido come arma; con l’andare del tempo gli antichi combattenti giapponesi, i “Bushi”, affinarono questa pratica fino a farla diventare un’arte completa in se stessa. Le origini si identificano strettamente con l’immagine di un uomo posto di fronte a una realtà ostile. Il grido, infatti, rappresenta la reazione primordiale al pericolo e alla richiesta di aiuto ed è in grado di far vacillare un nemico o arrestarne addirittura l’attacco. In Giappone questa tecnica fu perfezionata a tal punto da farne la sola arma usata: il guerriero studiava come sviluppare un urlo che incanalasse in tono, altezza e intensità della voce, tutta la sua energia. Il valore tattico del grido nell’influenzare o determinare il risultato del combattimento venne così inserito come studio approfondito delle segretissime scuole marziali per sfruttarne appieno l’effetto paralizzante.
La pratica
L’arte del kiai occupa una posizione specifica nei metodi disarmati da combattimento e al contempo unica. Una pratica esoterica in cui le tecniche e le strategie sofisticate si riducono all’estensione della potenza pura, immateriale, “che non si vede ad occhio nudo”, ma in grado di sopraffare l’avversario. Il kiai abbraccia i concetti di armonia e di spirito. Ki viene spesso usato nel senso di energia, carattere e perciò come indice della personalità del praticante. Ecco che la pratica di quest’arte si concentra sullo sviluppo di una personalità magnetica in grado, attraverso un altro livello di concentrazione, di evocare, attraverso un grido, forti poteri di suggestione atti a “demolire” psicologicamente un attaccante.
Le tecniche
Attraverso una forte contrazione diaframmatica verso il basso, durante la fase espiratoria, si emette un suono profondo (inizialmente seguendo “alla lettera” il suono K I A I) prodotto esercitando la massima pressione sulla parte addominale, in giapponese “hara” in posizione Kiba Dachi. Si definisce haragei il punto massimo di specializzazione dell’arte dei kiai. La documentazione esistente circa le scuole e le tecniche di addestramento è pressocchè inesistente. Si conoscono alcuni particolari:
Ki, l’energia che segue il pensiero...
Energia vitale universale che impregna ogni forma manifesta, dandole vita, movimento ed essere. Dall’unione del ki e della forma si sviluppa lo spirito marziale.
La parola, Kiai è composta da due ideogrammi:
Ki , raffigura l'energia vitale e universale comune a tutti gli esseri viventi.
Ai , rappresenta l'armonia universale.
Esprime, anche, un grido che rivela e manifesta quel principio orientale di unità ed armonia presente in ogni cosa. Fisicamente, esso permette di collegare, attraverso la cintura addominale, la forza delle masse muscolari che si trovano nella parte bassa con quelle della parte alta del corpo. Energicamente, rivela le vibrazioni dei Chakra.
Le origini
In Giappone si sa pochissimo dell’arte del kiai, ma sono visibili le eredità lasciate ai maggiori Maestri delle arti marziali che tutt’oggi subordinano i fattori esterni del combattimento, armi e tecniche, a elementi di natura interiore, controllo e potenza. Nello specifico quest’arte era vista come l’impiego della voce umana in combattimento, con il duplice effetto di intimorire il nemico e rafforzare il proprio spirito. La particolarità di quest’arte è, in realtà, la tecnica usata, un vettore di eccezionale impatto emotivo: la voce umana. Kiai era il nome dato generalmente a quello specifico metodo di combattimento basato sull’impiego del grido come arma; con l’andare del tempo gli antichi combattenti giapponesi, i “Bushi”, affinarono questa pratica fino a farla diventare un’arte completa in se stessa. Le origini si identificano strettamente con l’immagine di un uomo posto di fronte a una realtà ostile. Il grido, infatti, rappresenta la reazione primordiale al pericolo e alla richiesta di aiuto ed è in grado di far vacillare un nemico o arrestarne addirittura l’attacco. In Giappone questa tecnica fu perfezionata a tal punto da farne la sola arma usata: il guerriero studiava come sviluppare un urlo che incanalasse in tono, altezza e intensità della voce, tutta la sua energia. Il valore tattico del grido nell’influenzare o determinare il risultato del combattimento venne così inserito come studio approfondito delle segretissime scuole marziali per sfruttarne appieno l’effetto paralizzante.
La pratica
L’arte del kiai occupa una posizione specifica nei metodi disarmati da combattimento e al contempo unica. Una pratica esoterica in cui le tecniche e le strategie sofisticate si riducono all’estensione della potenza pura, immateriale, “che non si vede ad occhio nudo”, ma in grado di sopraffare l’avversario. Il kiai abbraccia i concetti di armonia e di spirito. Ki viene spesso usato nel senso di energia, carattere e perciò come indice della personalità del praticante. Ecco che la pratica di quest’arte si concentra sullo sviluppo di una personalità magnetica in grado, attraverso un altro livello di concentrazione, di evocare, attraverso un grido, forti poteri di suggestione atti a “demolire” psicologicamente un attaccante.
Le tecniche
Attraverso una forte contrazione diaframmatica verso il basso, durante la fase espiratoria, si emette un suono profondo (inizialmente seguendo “alla lettera” il suono K I A I) prodotto esercitando la massima pressione sulla parte addominale, in giapponese “hara” in posizione Kiba Dachi. Si definisce haragei il punto massimo di specializzazione dell’arte dei kiai. La documentazione esistente circa le scuole e le tecniche di addestramento è pressocchè inesistente. Si conoscono alcuni particolari:
-
Unificazione preliminare di energie nell’hara .
- Paralizzare, uccidere o salvare la vita di un altro guerriero con un grido concentrato
-
Kiai come vettore di energia .
-
Funzione di rafforzare la regione del tanden , parte dell’addome situata poco sotto l’ombelico, e quindi fattore dello sviluppo del coraggio fisico e del potere di uno spirito forte e determinato .
-
Nel combattimento, così come nella competizione sportiva, il grido è utilizzato per arrivare al bersaglio e simboleggia un colpo definitivo a cui partecipano corpo, spirito e cuore .
-
Il kiai viene impostato con esercizi e poi coltivato con attenzione finché si incanala spontaneamente nella forma che arricchisce l'azione marziale .
Ki, l’energia che segue il pensiero...
Energia vitale universale che impregna ogni forma manifesta, dandole vita, movimento ed essere. Dall’unione del ki e della forma si sviluppa lo spirito marziale.
Karategi o Kimono da Karate?
Qual è il nome più corretto per definire l’indumento, ovvero l’abito da allenamento che usiamo ogni volta che entriamo nel dojo? È sicuramente molto più facile che abbiate sentito parlare di kimono da karate, perché è una parola semplicemente molto famigliare che si ritrova in molti discorsi associati al Giappone.
Ma dobbiamo qui ricordarlo che la corretta definizione di kimono è: “Indumento tradizionale giapponese costituito da una specie di lunga tunica incrociata davanti, con maniche molto larghe, stretta in vita da una fascia allacciata dietro” inoltre ( 着物 letteralmente cosa da indossare quindi abito) è un indumento tradizionale giapponese nonché il costume nazionale giapponese. In italiano è largamente usata anche la grafia adattata “chimono”. In origine il termine “kimono” veniva usato infatti per ogni tipo di abito; in seguito è passato ad indicare specificamente l’abito lungo portato ancor oggi da persone di entrambi i sessi e di tutte le età. Il kimono è molto simile agli abiti in uso durante la dinastia cinese Tang. Ad ogni modo, da tutto questo si capisce che non possiamo disapprovare completamente chi dice kimono da karate, più che altro potremmo dire che è un termine troppo generico che può essere frainteso con un abito da cerimonia e non certo adatto ad allenarsi e sudare in un dojo. Il termine più spedifico è KeikoGi o meglio ancora KarateGi. keikogiKeikogi o dogi (稽古着 o 稽古衣) è un’uniforme per l’allenamento utilizzata nelle arti marziali giapponesi, il budō. Il termine significa “uniforme di allenamento” da keiko, “pratica”, e gi, “vestito”. Gi è un termine complesso con più significati (come scrivo qui), perciò il tutto si potrebbe tradurre con abito che è nostro dovere indossare per poterci allenare nel luogo che conduce alla via. Spesso “keiko” viene sostituito con il nome dell’arte marziale specifica, nel nostro caso Karate-Gi.
L’utilizzo di una divisa uguale per tutti i praticanti, fu imposto dal Dai Nippon Butokukai (organo ufficiale giapponese che controllava tutte le scuole di arti marziali) che la pose come una delle condizioni che avrebbero permesso alla nuova arte giunta da Okinawa, di essere accettata tra quelle giapponesi.Prima di allora, infatti, ci si allenava con quello che si aveva addosso, il che era inaccettabile per l’ordinata mentalità nipponica, specie se applicata alle arti marziali, che seguivano il modello organizzativo militare. Detto questo, consideriamo che il karategi è più che una divisa da indossare durante l’allenamento. Esso è un compagno di percorso che si lega a noi assecondando i nostri sforzi, le difficoltà, le paure, il dolore… Per me è diverso fare karate con abiti normali, seppur comodi, sento che manca qualcosa, una componente che è entrata a far parte della presa di coscienza e del rispetto mutuato dalla tradizione del budo e non dal fitness o dallo sport.
Ma dobbiamo qui ricordarlo che la corretta definizione di kimono è: “Indumento tradizionale giapponese costituito da una specie di lunga tunica incrociata davanti, con maniche molto larghe, stretta in vita da una fascia allacciata dietro” inoltre ( 着物 letteralmente cosa da indossare quindi abito) è un indumento tradizionale giapponese nonché il costume nazionale giapponese. In italiano è largamente usata anche la grafia adattata “chimono”. In origine il termine “kimono” veniva usato infatti per ogni tipo di abito; in seguito è passato ad indicare specificamente l’abito lungo portato ancor oggi da persone di entrambi i sessi e di tutte le età. Il kimono è molto simile agli abiti in uso durante la dinastia cinese Tang. Ad ogni modo, da tutto questo si capisce che non possiamo disapprovare completamente chi dice kimono da karate, più che altro potremmo dire che è un termine troppo generico che può essere frainteso con un abito da cerimonia e non certo adatto ad allenarsi e sudare in un dojo. Il termine più spedifico è KeikoGi o meglio ancora KarateGi. keikogiKeikogi o dogi (稽古着 o 稽古衣) è un’uniforme per l’allenamento utilizzata nelle arti marziali giapponesi, il budō. Il termine significa “uniforme di allenamento” da keiko, “pratica”, e gi, “vestito”. Gi è un termine complesso con più significati (come scrivo qui), perciò il tutto si potrebbe tradurre con abito che è nostro dovere indossare per poterci allenare nel luogo che conduce alla via. Spesso “keiko” viene sostituito con il nome dell’arte marziale specifica, nel nostro caso Karate-Gi.
L’utilizzo di una divisa uguale per tutti i praticanti, fu imposto dal Dai Nippon Butokukai (organo ufficiale giapponese che controllava tutte le scuole di arti marziali) che la pose come una delle condizioni che avrebbero permesso alla nuova arte giunta da Okinawa, di essere accettata tra quelle giapponesi.Prima di allora, infatti, ci si allenava con quello che si aveva addosso, il che era inaccettabile per l’ordinata mentalità nipponica, specie se applicata alle arti marziali, che seguivano il modello organizzativo militare. Detto questo, consideriamo che il karategi è più che una divisa da indossare durante l’allenamento. Esso è un compagno di percorso che si lega a noi assecondando i nostri sforzi, le difficoltà, le paure, il dolore… Per me è diverso fare karate con abiti normali, seppur comodi, sento che manca qualcosa, una componente che è entrata a far parte della presa di coscienza e del rispetto mutuato dalla tradizione del budo e non dal fitness o dallo sport.
L' Influenza del Karate nella Vita...
Il karate è un'attività completa ed una filosofia di vita.
Dal punto di vista della formazione fisica il karate, usando i 4 arti indistintamente e un’infinita varietà di posture e schemi motorii, risulta una delle pratiche sportive più complete.Praticare questa disciplina contribuisce ad irrobustire la struttura ossea, articolare e muscolare.
È un eccellente esercizio per la coordinazione, insegna la respirazione diaframmatica (naturale), sviluppa un'eccezionale prontezza di reazione e un grado elevato di attenzione. Insegna il rispetto per gli altri e per il mondo che ci circonda, sviluppa grande autocontrollo ed equilibrio psicofisico. Si può praticare karate con il piacere della mente e del fisico, per tutti gli anni della vita, continuando a sommarne i benefici.
I vari aspetti del karate possono essere così sintetizzati:
Aspetto medico
Il karate è adatto proprio per la sua versatilità, serve a migliorare e perfezionare qualità fisiche: agilità, tenacia, flessibilità, capacità di reazione e di coordinazione e senso dell’equilibrio in modo ottimale. Il karate rappresenta anche un buon addestramento al portamento grazie soprattutto all’elasticità dei movimenti sempre in esatto accordo con la respirazione, che si devono sempre eseguire con giusto equilibrio. Il rischio di ferirsi durante gli esercizi è minimo. Inoltre, questa disciplina viene utilizzata anche da esperti medici per le sue caratteristiche terapeutiche in merito alle devianze sociali dato l'insegnamento principale del karate: autocontrollo del corpo e della mente.
Aspetto motorio
Gambe e braccia vengono usate per sferrare calci e colpi con un’esattezza calcolata al millimetro durante i rapidi ed energici movimenti di tutto il corpo. L’apprendimento di queste tecniche complesse richiedono e sviluppano processi di miglioramento fisico-motorio molteplici che includono e perfezionano le stesse proprietà motorie di base come la tenacia, la riflessione ed il senso dell’ equilibrio.
Aspetto sociale
Le lezioni di karate avvengono in gruppo. Le tecniche di base vengono continuamente esercitate al fine di migliorare l’esattezza, la rapidità e l’energia dei movimenti. Questa pratica collettiva produce un senso di solidarietà ed opera, proprio per questo motivo, contro il sentimento di concorrenza che è da rilevare negli altri sport e nel karate se praticato a livello professionale e non come disciplina marziale. Sin dai primi esercizi di attacco e difesa con un partner si è addestrati ad intuire il pensiero del compagno così da migliorare le proprie azioni di difesa. A tutto questo si aggiunge la pratica che favorisce gran parte della disciplina o arte.
Aspetto etico
Proprio a causa delle varie tecniche che si insegnano nel karate, ognuno ha una grande responsabilità nei riguardi del proprio partner sportivo e nei confronti della società.
La filosofia che caratterizza il karate e le altre Arti Marziali può essere riassunta come segue: tutti coloro che sono veramente forti non hanno bisogno di dimostrarlo nelle risse o con un comportamento aggressivo sia nel “Dojo” che nella vita privata.
Il “karateka” (persona che pratica il karate) ha un suo stile di vita il “Dojokun” (regole da seguire).
I vari aspetti del karate possono essere così sintetizzati:
Aspetto medico
Il karate è adatto proprio per la sua versatilità, serve a migliorare e perfezionare qualità fisiche: agilità, tenacia, flessibilità, capacità di reazione e di coordinazione e senso dell’equilibrio in modo ottimale. Il karate rappresenta anche un buon addestramento al portamento grazie soprattutto all’elasticità dei movimenti sempre in esatto accordo con la respirazione, che si devono sempre eseguire con giusto equilibrio. Il rischio di ferirsi durante gli esercizi è minimo. Inoltre, questa disciplina viene utilizzata anche da esperti medici per le sue caratteristiche terapeutiche in merito alle devianze sociali dato l'insegnamento principale del karate: autocontrollo del corpo e della mente.
Aspetto motorio
Gambe e braccia vengono usate per sferrare calci e colpi con un’esattezza calcolata al millimetro durante i rapidi ed energici movimenti di tutto il corpo. L’apprendimento di queste tecniche complesse richiedono e sviluppano processi di miglioramento fisico-motorio molteplici che includono e perfezionano le stesse proprietà motorie di base come la tenacia, la riflessione ed il senso dell’ equilibrio.
Aspetto sociale
Le lezioni di karate avvengono in gruppo. Le tecniche di base vengono continuamente esercitate al fine di migliorare l’esattezza, la rapidità e l’energia dei movimenti. Questa pratica collettiva produce un senso di solidarietà ed opera, proprio per questo motivo, contro il sentimento di concorrenza che è da rilevare negli altri sport e nel karate se praticato a livello professionale e non come disciplina marziale. Sin dai primi esercizi di attacco e difesa con un partner si è addestrati ad intuire il pensiero del compagno così da migliorare le proprie azioni di difesa. A tutto questo si aggiunge la pratica che favorisce gran parte della disciplina o arte.
Aspetto etico
Proprio a causa delle varie tecniche che si insegnano nel karate, ognuno ha una grande responsabilità nei riguardi del proprio partner sportivo e nei confronti della società.
La filosofia che caratterizza il karate e le altre Arti Marziali può essere riassunta come segue: tutti coloro che sono veramente forti non hanno bisogno di dimostrarlo nelle risse o con un comportamento aggressivo sia nel “Dojo” che nella vita privata.
Il “karateka” (persona che pratica il karate) ha un suo stile di vita il “Dojokun” (regole da seguire).
Karate ed Educazione
L’esigenza e la necessità di supporti educativi giungono da varie parti: dalla società, dalla famiglia, dalla scuola.
Tutte queste componenti lamentano delle carenze educative ma, allo stesso tempo, si trovano in difficoltà nell’organizzare risposte adeguate. Le richieste, le pressioni e gli stimoli che vengono rivolti ai bambini, sono in gran parte di tipo utilitaristico e finalizzati a un immediato profitto. Spesso nella scuola si sente lamentare la carenza di metodo nello studio ma, per acquisire un buon metodo, ci vuole tempo, voglia e conoscenza, anche da parte dei docenti e sovente ci si limita a tacciare gli studenti di stupidità, mancanza di maturazione o poca voglia di studiare (quando va bene!).
Proprio il differenziato livello di maturazione, o qualità innate, permettono ad alcuni allievi di seguire il programma, gli altri vengono abbandonati a sé stessi costretti a un lavoro massacrante, con la logica conseguenza che i giovani imparano ad “arrangiarsi” fin dalla più tenera età. Dalla famiglia, per contro, arrivano segnali preoccupanti e quasi una sorta di rassegnazione (comodità) nei confronti dello strapotere della televisione. La società ed in particolare il mondo del lavoro lamentano nei cittadini mancanza di professionalità, precisione e senso civico. Questa analisi non va certo generalizzata, ma esistono molti segnali preoccupanti. Come può il karate dare un proficuo apporto al processo educativo? Vari elementi potrebbero far pensare il contrario : le origini culturali diverse dalle nostre; la stessa televisione e certi spettacoli cinematografici e non,mostrano esclusivamente questa disciplina sotto un aspetto aggressivo e violento.br>
A volte gli stessi operatori non posseggono strumenti validi per un adeguato intervento; tutti gli studi e gli scritti con una parvenza di scientificità, fanno rilevare che il karate è un ’attività in cui si chiede impegno e fatica, ciò potrebbe ulteriormente scoraggiare i genitori dal mandare i bambini in palestra, di riflesso questo timore potrebbe indurre taluni istruttori a modificare il programma con la conseguenza di riempire la palestra, ma svuotare la disciplina dei reali contenuti educativi. La soluzione a quest’ ultimo punto è quella di informarsi ed informare correttamente. Molti medici stanno facendo un lavoro encomiabile per qualificare i tecnici, seguendo rigorosi canoni scientifici. Prendendo spunto dai loro studi e da molti altri effettuati prima , nel campo delle attività motorie, si può affermare con tranquillità che i piccoli praticanti possono sopportare l ’impegno fisico senza alcun problema, ma traendone sicuramente dei vantaggi. Fin qui nulla che non si possa trovare in una qualsiasi attività sportiva praticata seriamente; ciò che rende il Karate Tradizionale un eccezionale strumento educativo è la sua concezione culturale di tipo planetario, rivolta al miglioramento dell’uomo e non ad una parte di esso, oppure ad un particolare tipo di individuo. La nostra società non è immune da deleteri aspetti di regressione culturale e l’ultimo esempi in ordine di tempo, si è avuto in occasione della festa del libro.
La legittima volontà degli organizzatori di portare il grande pubblico a conoscenza della manifestazione e sempre legittima esigenza di usare un linguaggio efficace, hanno prodotto un discutibile messaggio pubblicitario, perché per ottenere un effetto positivo, “l’invito alla lettura ”, ne ha prodotti almeno due negativi: identificare tutti gli sportivi in un sola attività, indicare il praticante le attività motorie come colui che non legge. La risposta dell’autore ad una giusta quanto insufficiente censura è stata: “Vorrà dire che avremo più sportivi e più ignoranti”. Che in Italia si legga poco, è un fatto incontestabile, che gli sportivi siano tra quelli che leggono meno è da provare, ma possiamo anche accettarlo come ipotesi; la cosa sicuramente grave è ripristinare il dualismo medioevale corpo mente come se non facessero parte della stessa entità, ed è ancora più grave che questo accada oggi anche per il con lo scopo provocatorio (speriamo!).
L’unicità mente corpo è un elemento fondamentale nel processo educativo; nel karate questo aspetto viene ulteriormente rafforzato e consolidato da una energia interiore caratteristica della cultura orientale.
È importante a questo punto, ribadire il concetto di tradizione come l’insieme delle esperienze di grandi maestri che, operando fino dall’antichità con gli stessi obiettivi, hanno permesso al Maestro G. Funakoshi di creare le basi per un ulteriore sviluppo della disciplina ed un continuo arricchimento culturale dei praticanti.
L’uomo è quindi al centro di questo grande progetto educativo che ha come momento ultimo il perfezionamento interiore.
L’educazione è un passaggio obbligato, ma indispensabile, e i giovani allievi possono approfittare di un’ occasione unica nel suo genere, ricchissima di contenuti essenziali per diventare persone nel significato più profondo del termine.
I bambini possono trovare nel maestro un punto di riferimento rassicurante, un modello da imitare, che dà loro gli strumenti per rapportarsi correttamente con gli altri e per prendere coscienza delle proprie potenzialità.
Il saluto è il primo e forse il più importante di questi strumenti, esso permette di entrare in un clima di grande tensione emotiva; la concentrazione è un obiettivo che si può ottenere attraverso la corretta interpretazione del saluto, seguono poi obiettivi importanti quali l ’atteggiamento di attenzione, rispetto, disponibilità, sicurezza e coscienza dei propri mezzi.
L’equilibrio psicofisico è certamente un obiettivo a lungo termine, ma segnali positivi possono essere constatati in bambini con problemi di socializzazione e facilmente verificabili nelle fasi di gioco. Ormai perfino i più scettici hanno intuito che il karate assume importanza terapeutica per quanto riguarda l’orientamento positivo della carica aggressiva sia in eccesso che in difetto.
Il principio fondamentale è basato sul concetto di controllo, il quale ha la sua radice nell’atteggiamento di rispetto a sua volta acquisito con una corretta interpretazione del saluto. Il controllo è uno degli aspetti educativi più importanti del karate e ha ragione di essere in base al criteri della massima efficacia o colpo definitivo. L’importanza quindi di esprimere tutta la potenza delle tecniche non è assolutamente interpretabile come dimostrazione di violenza, ma come studio razionale di tutte le potenzialità dell’individuo che ha come traguardo l’autocontrollo ed equilibrio psicofisico. Tali obiettivi sono la base di un continuo perfezionamento per fare del karateka un cittadino responsabile.
Tutte queste componenti lamentano delle carenze educative ma, allo stesso tempo, si trovano in difficoltà nell’organizzare risposte adeguate. Le richieste, le pressioni e gli stimoli che vengono rivolti ai bambini, sono in gran parte di tipo utilitaristico e finalizzati a un immediato profitto. Spesso nella scuola si sente lamentare la carenza di metodo nello studio ma, per acquisire un buon metodo, ci vuole tempo, voglia e conoscenza, anche da parte dei docenti e sovente ci si limita a tacciare gli studenti di stupidità, mancanza di maturazione o poca voglia di studiare (quando va bene!).
Proprio il differenziato livello di maturazione, o qualità innate, permettono ad alcuni allievi di seguire il programma, gli altri vengono abbandonati a sé stessi costretti a un lavoro massacrante, con la logica conseguenza che i giovani imparano ad “arrangiarsi” fin dalla più tenera età. Dalla famiglia, per contro, arrivano segnali preoccupanti e quasi una sorta di rassegnazione (comodità) nei confronti dello strapotere della televisione. La società ed in particolare il mondo del lavoro lamentano nei cittadini mancanza di professionalità, precisione e senso civico. Questa analisi non va certo generalizzata, ma esistono molti segnali preoccupanti. Come può il karate dare un proficuo apporto al processo educativo? Vari elementi potrebbero far pensare il contrario : le origini culturali diverse dalle nostre; la stessa televisione e certi spettacoli cinematografici e non,mostrano esclusivamente questa disciplina sotto un aspetto aggressivo e violento.br>
A volte gli stessi operatori non posseggono strumenti validi per un adeguato intervento; tutti gli studi e gli scritti con una parvenza di scientificità, fanno rilevare che il karate è un ’attività in cui si chiede impegno e fatica, ciò potrebbe ulteriormente scoraggiare i genitori dal mandare i bambini in palestra, di riflesso questo timore potrebbe indurre taluni istruttori a modificare il programma con la conseguenza di riempire la palestra, ma svuotare la disciplina dei reali contenuti educativi. La soluzione a quest’ ultimo punto è quella di informarsi ed informare correttamente. Molti medici stanno facendo un lavoro encomiabile per qualificare i tecnici, seguendo rigorosi canoni scientifici. Prendendo spunto dai loro studi e da molti altri effettuati prima , nel campo delle attività motorie, si può affermare con tranquillità che i piccoli praticanti possono sopportare l ’impegno fisico senza alcun problema, ma traendone sicuramente dei vantaggi. Fin qui nulla che non si possa trovare in una qualsiasi attività sportiva praticata seriamente; ciò che rende il Karate Tradizionale un eccezionale strumento educativo è la sua concezione culturale di tipo planetario, rivolta al miglioramento dell’uomo e non ad una parte di esso, oppure ad un particolare tipo di individuo. La nostra società non è immune da deleteri aspetti di regressione culturale e l’ultimo esempi in ordine di tempo, si è avuto in occasione della festa del libro.
La legittima volontà degli organizzatori di portare il grande pubblico a conoscenza della manifestazione e sempre legittima esigenza di usare un linguaggio efficace, hanno prodotto un discutibile messaggio pubblicitario, perché per ottenere un effetto positivo, “l’invito alla lettura ”, ne ha prodotti almeno due negativi: identificare tutti gli sportivi in un sola attività, indicare il praticante le attività motorie come colui che non legge. La risposta dell’autore ad una giusta quanto insufficiente censura è stata: “Vorrà dire che avremo più sportivi e più ignoranti”. Che in Italia si legga poco, è un fatto incontestabile, che gli sportivi siano tra quelli che leggono meno è da provare, ma possiamo anche accettarlo come ipotesi; la cosa sicuramente grave è ripristinare il dualismo medioevale corpo mente come se non facessero parte della stessa entità, ed è ancora più grave che questo accada oggi anche per il con lo scopo provocatorio (speriamo!).
L’unicità mente corpo è un elemento fondamentale nel processo educativo; nel karate questo aspetto viene ulteriormente rafforzato e consolidato da una energia interiore caratteristica della cultura orientale.
È importante a questo punto, ribadire il concetto di tradizione come l’insieme delle esperienze di grandi maestri che, operando fino dall’antichità con gli stessi obiettivi, hanno permesso al Maestro G. Funakoshi di creare le basi per un ulteriore sviluppo della disciplina ed un continuo arricchimento culturale dei praticanti.
L’uomo è quindi al centro di questo grande progetto educativo che ha come momento ultimo il perfezionamento interiore.
L’educazione è un passaggio obbligato, ma indispensabile, e i giovani allievi possono approfittare di un’ occasione unica nel suo genere, ricchissima di contenuti essenziali per diventare persone nel significato più profondo del termine.
I bambini possono trovare nel maestro un punto di riferimento rassicurante, un modello da imitare, che dà loro gli strumenti per rapportarsi correttamente con gli altri e per prendere coscienza delle proprie potenzialità.
Il saluto è il primo e forse il più importante di questi strumenti, esso permette di entrare in un clima di grande tensione emotiva; la concentrazione è un obiettivo che si può ottenere attraverso la corretta interpretazione del saluto, seguono poi obiettivi importanti quali l ’atteggiamento di attenzione, rispetto, disponibilità, sicurezza e coscienza dei propri mezzi.
L’equilibrio psicofisico è certamente un obiettivo a lungo termine, ma segnali positivi possono essere constatati in bambini con problemi di socializzazione e facilmente verificabili nelle fasi di gioco. Ormai perfino i più scettici hanno intuito che il karate assume importanza terapeutica per quanto riguarda l’orientamento positivo della carica aggressiva sia in eccesso che in difetto.
Il principio fondamentale è basato sul concetto di controllo, il quale ha la sua radice nell’atteggiamento di rispetto a sua volta acquisito con una corretta interpretazione del saluto. Il controllo è uno degli aspetti educativi più importanti del karate e ha ragione di essere in base al criteri della massima efficacia o colpo definitivo. L’importanza quindi di esprimere tutta la potenza delle tecniche non è assolutamente interpretabile come dimostrazione di violenza, ma come studio razionale di tutte le potenzialità dell’individuo che ha come traguardo l’autocontrollo ed equilibrio psicofisico. Tali obiettivi sono la base di un continuo perfezionamento per fare del karateka un cittadino responsabile.
Buongiornoooo Amici del Karate !!!
Cominciamo bene la giornata con un bel Kata, eseguito da Viviana Bottaro, una spettacolare atleta, membro della nazionale italiana femminile!
Il Kata che vi propongo oggi si chiama: UNSHU...che in italiano vuol dire: MANI NELLA NUVOLA.
Ditemi cosa ne pensate...
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Cominciamo bene la giornata con un bel Kata, eseguito da Viviana Bottaro, una spettacolare atleta, membro della nazionale italiana femminile!
Il Kata che vi propongo oggi si chiama: UNSHU...che in italiano vuol dire: MANI NELLA NUVOLA.
Ditemi cosa ne pensate...
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giovedì 8 maggio 2014
Buon Pomeriggio a tutte le persone che mi seguono..!
Questo pomeriggio vorrei farvi partecipi di un incontro spettacolare...Sto parlando del combattimento tra Luigi Busà e Rafael Aghayev...
FINALE MASCHILE KUMITE -75 kg. MONDIALE DI KARATE 2012..
Che ne dite?
Questo pomeriggio vorrei farvi partecipi di un incontro spettacolare...Sto parlando del combattimento tra Luigi Busà e Rafael Aghayev...
FINALE MASCHILE KUMITE -75 kg. MONDIALE DI KARATE 2012..
Che ne dite?
Buongiornoooo!!!
Oggi ho voglia di farvi conoscere uno dei Kata che secondo il mio punto di vista è uno dei più belli, dove si deve esser bravi, nell' eseguire le tecniche, ad introdurre nella forza un po' di morbidezza ed eleganza.
Il Kata si chiama :MATSUMURA BASSAI che in italiano vuol dire :SFONDARE, SCARDINARE LA FORTEZZA.
Spero vi piaccia!!!
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Oggi ho voglia di farvi conoscere uno dei Kata che secondo il mio punto di vista è uno dei più belli, dove si deve esser bravi, nell' eseguire le tecniche, ad introdurre nella forza un po' di morbidezza ed eleganza.
Il Kata si chiama :MATSUMURA BASSAI che in italiano vuol dire :SFONDARE, SCARDINARE LA FORTEZZA.
Spero vi piaccia!!!
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mercoledì 7 maggio 2014
Regole di comportamento nel dojo:
(Le regole del dojo dovrebbere essere regole universali da seguire in ogni momento della nostra vita e non solo all'interno dell'ora di pratica.)
Ricordate che il dojo è un luogo in cui ci si sforza di raggiungere un fine nobile e pertanto è degno del massimo rispetto Entrando e uscendo dal dojo, inchinarsi in direzione del Kamiza.
Quando si arriva in ritardo, e la lezione è già cominciata, aspettate che l’insegnante vi dica di entrare, quindi unirsi alla classe posizionandosi in fondo al gruppo.
Quando vi è domandato di muovervi verso un preciso punto del dojo, muovetevi sempre il più velocemente possibile.
Non praticate mai combattimento senza che sia presente il Maestro.
Quando praticate il combattimento contro un grado più alto, cercate di dare il meglio, mostrando rispetto per il suo grado. Se pensate di poter mettere maggior forza e impegno nel combattimento, fatelo, ma ricordate che il senpai ha ben chiaro nella sua testa il vostro grado più basso, e quindi non combatterà mai nel modo più duro.
Non interrompete il Maestro mentre sta spiegando o durante la lezione con domande inopportune. Pensate che se voi fate così, anche gli altri si sentiranno autorizzati a farlo e ciò porterebbe confusione e deconcetrazione.
Ricordarsi sempre che la cintura di grado più elevato ha la responsabilità di essere da giusto esempio alla cintura di livello inferiore.
Siate sempre consapevoli e disponibili, rispettate i compagni con grado più elevato ed accettatene i consigli senza obiezioni, aiutate chi è meno esperto con diligenza, umiltà e cordialità.
Se un vostro compagno fraintende un movimento e voi lo fate giusto non compiacetevi intimamente di questo: la pratica non deve essere vissuta egoisticamente.
Prima di incominciare la pratica di una tecnica, rivolgersi al compagno con un inchino. A fine pratica, sempre inchinandosi, ringraziare.
Non lasciate mai il vostro posto senza il permesso dell’insegnante. Mai camminare in mezzo ad una coppia che si sta esercitando, o di fronte all’insegnante mentre tiene la lezione.
Rivolgetevi all’insegnante chiamandolo, a seconda dei casi: Senpai, Maestro o Sensei. Non chiamate mai l’insegnante direttamente con il suo nome.
Il vostro gi deve essere pulito, dal momento che contiene, simbolicamente, lo sforzo della vostra pratica.
Ascoltate attentamente le indicazioni e gli insegnamenti del vostro Maestro. Proteggete le regole del dojo come un bene prezioso. Chi non le condivide, chi non le osserva, non deve restare nel dojo.
L’insegnante, chiunque esso sia, deve essere trattato con lo stesso rispetto che voi vi aspettereste dagli altri.
Il Budo comincia e finisce con la cortesia.
Se non potete trovare il modo di dimostrare rispetto ad una persona che vi dona il suo tempo insegnando, è meglio che non apparteniate a questo dojo.
Durante la pratica non sbadigliate, non parlate, non state appoggiati al muro o rimanete inattivi durante la lezione. Un vero budoka è sempre attento, ben educato e concentrato al massimo su quello che deve fare.
Per motivi di igiene e sicurezza, non indossate orecchini, collane, braccialetti o orologi durante l’allenamento. Siate sempre attenti ad avere il corpo e i piedi puliti. E’ buona regola lavarsi i piedi prima di entrare in palestra. Durante l’allenamento si lavora spesso a stretto contatto con gli altri. Nessuno ama allenarsi con chi è sporco. Ricordatevi inoltre che non è bene allenarsi con lo stomaco pieno, evitate di mangiare e bere prima della lezione.
La puntualità è categorica. La lezione inizia sempre rigorosamente negli orari indicati ed è pertanto necessario ritrovarsi nel dojo almeno mezz'ora prima ed entrare nella classe pronti per iniziare. Perdere tempo vestendosi a lezione iniziata non è rispettoso verso il maestro e i compagni.
Nel dojo sono ammesse soltanto persone concentrate che intendono praticare la Via nel rispetto di se stessi e degli altri, chi venisse con altre intenzioni dev'essere invitato a rifletterci prima.
Al termine della lezione lasciare il dojo in silenzio cercando di riflettere e meditare sulla lezione fatta.
E' essenziale conservare il medesimo comportamento anche negli spogliatoi parlando con un tono di voce moderato.
E' di norma fatto divieto di dimostrare tecniche all'esterno del dojo se non espressamente autorizzati dal proprio Maestro.
(Le regole del dojo dovrebbere essere regole universali da seguire in ogni momento della nostra vita e non solo all'interno dell'ora di pratica.)
Ricordate che il dojo è un luogo in cui ci si sforza di raggiungere un fine nobile e pertanto è degno del massimo rispetto Entrando e uscendo dal dojo, inchinarsi in direzione del Kamiza.
Quando si arriva in ritardo, e la lezione è già cominciata, aspettate che l’insegnante vi dica di entrare, quindi unirsi alla classe posizionandosi in fondo al gruppo.
Quando vi è domandato di muovervi verso un preciso punto del dojo, muovetevi sempre il più velocemente possibile.
Non praticate mai combattimento senza che sia presente il Maestro.
Quando praticate il combattimento contro un grado più alto, cercate di dare il meglio, mostrando rispetto per il suo grado. Se pensate di poter mettere maggior forza e impegno nel combattimento, fatelo, ma ricordate che il senpai ha ben chiaro nella sua testa il vostro grado più basso, e quindi non combatterà mai nel modo più duro.
Non interrompete il Maestro mentre sta spiegando o durante la lezione con domande inopportune. Pensate che se voi fate così, anche gli altri si sentiranno autorizzati a farlo e ciò porterebbe confusione e deconcetrazione.
Ricordarsi sempre che la cintura di grado più elevato ha la responsabilità di essere da giusto esempio alla cintura di livello inferiore.
Siate sempre consapevoli e disponibili, rispettate i compagni con grado più elevato ed accettatene i consigli senza obiezioni, aiutate chi è meno esperto con diligenza, umiltà e cordialità.
Se un vostro compagno fraintende un movimento e voi lo fate giusto non compiacetevi intimamente di questo: la pratica non deve essere vissuta egoisticamente.
Prima di incominciare la pratica di una tecnica, rivolgersi al compagno con un inchino. A fine pratica, sempre inchinandosi, ringraziare.
Non lasciate mai il vostro posto senza il permesso dell’insegnante. Mai camminare in mezzo ad una coppia che si sta esercitando, o di fronte all’insegnante mentre tiene la lezione.
Rivolgetevi all’insegnante chiamandolo, a seconda dei casi: Senpai, Maestro o Sensei. Non chiamate mai l’insegnante direttamente con il suo nome.
Il vostro gi deve essere pulito, dal momento che contiene, simbolicamente, lo sforzo della vostra pratica.
Ascoltate attentamente le indicazioni e gli insegnamenti del vostro Maestro. Proteggete le regole del dojo come un bene prezioso. Chi non le condivide, chi non le osserva, non deve restare nel dojo.
L’insegnante, chiunque esso sia, deve essere trattato con lo stesso rispetto che voi vi aspettereste dagli altri.
Il Budo comincia e finisce con la cortesia.
Se non potete trovare il modo di dimostrare rispetto ad una persona che vi dona il suo tempo insegnando, è meglio che non apparteniate a questo dojo.
Durante la pratica non sbadigliate, non parlate, non state appoggiati al muro o rimanete inattivi durante la lezione. Un vero budoka è sempre attento, ben educato e concentrato al massimo su quello che deve fare.
Per motivi di igiene e sicurezza, non indossate orecchini, collane, braccialetti o orologi durante l’allenamento. Siate sempre attenti ad avere il corpo e i piedi puliti. E’ buona regola lavarsi i piedi prima di entrare in palestra. Durante l’allenamento si lavora spesso a stretto contatto con gli altri. Nessuno ama allenarsi con chi è sporco. Ricordatevi inoltre che non è bene allenarsi con lo stomaco pieno, evitate di mangiare e bere prima della lezione.
La puntualità è categorica. La lezione inizia sempre rigorosamente negli orari indicati ed è pertanto necessario ritrovarsi nel dojo almeno mezz'ora prima ed entrare nella classe pronti per iniziare. Perdere tempo vestendosi a lezione iniziata non è rispettoso verso il maestro e i compagni.
Nel dojo sono ammesse soltanto persone concentrate che intendono praticare la Via nel rispetto di se stessi e degli altri, chi venisse con altre intenzioni dev'essere invitato a rifletterci prima.
Al termine della lezione lasciare il dojo in silenzio cercando di riflettere e meditare sulla lezione fatta.
E' essenziale conservare il medesimo comportamento anche negli spogliatoi parlando con un tono di voce moderato.
E' di norma fatto divieto di dimostrare tecniche all'esterno del dojo se non espressamente autorizzati dal proprio Maestro.
(道場訓, Dōjō Kun)
Dojo Kun (Dō = via, jō = luogo) letteralmente significa "luogo in cui si pratica la Via". I Dōjō Kun variano a seconda della scuola. Quelli sotto riportati si riferiscono allo Shotokan.
Hitotsu jinkaku kanseini tsutomuru koto - cerca di impegnarti costantemente
Hitotsu makoto no michi o mamoru koto - cerca di essere giusto e sincero
Hitotsu doryoku no seishin o yashinau koto - dobbiamo cercare di impegnarci con assidua costanza
Hitotsu reigi o omonzuru koto - dobbiamo cercare di agire nel rispetto e nella cortesia
Hitotsu kekki no yu o imashimuru koto - dobbiamo cercare di controllare i nostri istinti
Il karate è fondamentalmente rispetto reciproco, sul quale si basa e il Dōjō kun dovrebbe venire applicato anche al di fuori del Dōjō. Infatti un esempio di questo principio è che nel kumite, praticato da certe palestre, non si può toccare l'avversario, mentre prima di salire sul tatami bisogna fare il saluto al Maestro. I quattro lati del Dojo hanno particolari nomi: la Sede Superiore, ovvero dove sta il ritratto del Maestro fondatore dello stile che viene praticato è chiamato Jo-Za, mentre il lato dove stanno gli allievi, per fare il saluto, è chiamato Shimo-za, ovvero sede inferiore. Nel saluto gli allievi sono sistemati in ordine di cintura, iniziando dalle nere con grado maggiore fino ad arrivare alle bianche. Il lato verso gli allievi di grado più alto è chiamato Jo-seki, mentre invece quello verso le bianche, quindi verso coloro con meno esperienza è chiamato Shimo-seki.
Il karate è via per migliorare il carattere (Ricerca la perfezione del tuo carattere).
Questa prima regola sottolinea l'importanza dell'equilibrio nell'uomo. L'esercizio marziale non coinvolge esclusivamente il corpo: il praticante deve osservare con spirito critico in tutte le situazioni quotidiane che ostacolano il perfezionamento di sé stesso e deve affrontare le asperità interiori con lo stesso vigore con cui intraprende l'esercizio fisico che gli consente di affrontare le difficoltà esterne, lo spirito vigile e analitico deve guidarlo in tutte le situazioni della vita: confusione, pregiudizio, presunzione, egoismo, sopravvalutazione di se stessi, ingiustizia, autocommiserazione e sentimenti incontrollati ostacolano il progresso sulla Via. Imparare a gestire la propria interiorità, al contrario, aiuta a raggiungere l'equilibrio e a vivere un'esperienza enormemente appagante, se per altro l'allenamento fisico, con l'avanzare degli anni, conosce necessariamente delle limitazioni, lo spirito, invece, deve e può essere perfezionato fino alla morte.
Il karate è via di sincerità (Difendi le vie della verità).
Questa regola si esprime nella condotta di vita dell'uomo e nella disponibilità a riconoscere il giusto rapporto tra se stessi e ciò che si ha attorno, presupposto fondamentale per costruire giuste e rette relazioni con le altre persone. Un rapporto proficuo si instaura solo se l'individuo è capace di contemperare le proprie pretese personali con la dedizione e l'apertura verso gli altri, se questo equilibrio viene messo a repentaglio da un comportamento egoistico o superficiale, la comunicazione è soffocata; laddove si pretende più di quanto si dà o si avallano pretese superiori a quanto si è disposti a corrispondere o si promette molto e si mantiene poco, si suscita l'indignazione di quanti si trovano a dover compensare lo squilibrio insorto con un sacrificio superiore al giusto. L'equilibrio tra la pretesa e la disponibilità è il fondamento dello spirito del budo: solo nella verità l'uomo è libero, la pratica di questo principio rende consapevoli, umili e giusti.
Il karate è via per rafforzare la costanza dello spirito (Cura il tuo spirito di ambizione).
Questa regola si riferisce alla realizzazione dell'uomo in relazione ai suoi obiettivi di vita, essa è intimamente connessa ai primi due principi in quanto qualsiasi obiettivo richiede un'analisi approfondita e matura; il progresso, nel budo, può essere conseguito solo attraverso regolarità e costanza nell'esercizio. Le arti marziali possono essere apprese solo con l'autodisciplina, la costanza e la perseveranza, la disciplina è la base di ogni progresso. Se tale regola non viene rispettata dagli allievi, qualsiasi sforzo di miglioramento è vano. Si frequenta un dojo perché si ha uno scopo, ma bisogna assumere la giusta condotta, l'ambizione di nuovi obiettivi, in sé e per sé, non è una forza positiva, lo diventa solo se associata ad un comportamento maturo, al senso della misura e alla conoscenza.
Il karate è via di rispetto universale (Onora i principi dell'etichetta).
Questa regola si riferisce alle norme comportamentali che vanno conservate se si vuol capire gli altri ed essere accettati. La giusta condotta rende l'individuo degno di fede, aperto e semplice, rende possibile la comunicazione con gli altri e contribuisce a mantenere l'armonia nelle relazioni interpersonali. L'etichetta consiste nella forma comportamentale attraverso la quale una persona comunica ad un'altra di essere disponibile ad un contatto aperto; senza le buone maniere la franchezza si tramuta in grossolanità, il coraggio in rifiuto, l'umiltà in sottomissione, il rispetto in servilismo e la cautela in timore: l'etichetta provvede a mantenere la pace e l'armonia tra le persone. Nelle arti marziali l'etichetta trova espressione nei principi enunciati dal Maestro Funakoshi: Senza cortesia viene meno il valore del karate e il karate inizia e finisce con il saluto. Egli definì cortesia e rispetto le basi di ogni educazione ed il saluto il loro simbolo più importante. A livello avanzato tutti conoscono l'importanza del saluto; i praticanti che lo oltraggiano con la propria negligenza si dimostrano immodesti, egoisti e incapaci di adattamento: il modo in cui si effettua il saluto è specchio di sé, i modi sbagliati non sono sempre voluti, rappresentano solitamente una reazione naturale di protezione e timidezza, una maschera. Per questo nelle arti marziali l'etichetta non è solo forma, ma vera e propria via per la ricerca della verità interiore, poiché la pratica impone che la persona osservi e valuti correttamente il proprio comportamento nei confronti degli altri e di sé stesso.
Il karate è via per acquisire autocontrollo (Rinuncia alla violenza).
Questo principio coinvolge la condotta che porta alla formazione di un carattere degno dell'essere umano ed alla sua convivenza con gli altri. Nel mondo animale i modelli comportamentali sono istintivi e servono proprio alla conservazione della specie, l'uomo può forgiare tali modelli grazie al proprio intelletto ed alla propria conoscenza, controllando la misura delle proprie azioni. L'elaborazione di questo concetto porta alla rinuncia della violenza fisica ed allo stesso tempo definisce tutte le forme di ricorso alla violenza quali indegne dell'uomo. Nel budo, e in particolare nel karate, si ricercano l'autocontrollo e la gestione del comportamento; se i praticanti di livello avanzato, capaci di arrecare ferite gravi, impiegassero le proprie capacità come strumenti di supremazia nei confronti delle altre persone, costituirebbero un pericolo per la società e sarebbero sostanzialmente indegni come individui. Quando Funakoshi dice: nel karate non c'è chi attacca per primo intende dire che l'uomo in quanto essere dotato di intelletto ha la capacità di trovare le vie della non violenza se affronta le situazioni controllando il proprio io. Il karate è un'arte di autoperfezionamento e, per raggiungere questo obiettivo, è necessario comprendere a fondo tale principio. La soluzione violenta dei problemi interpersonali è esecrabile e non consente una convivenza serena. L'esperienza secolare mostra che, per eccellere nelle arti marziali, il dojo kun deve accompagnare la preparazione dei praticanti, indipendentemente dal livello, essi devono sottoporre il loro comportamento a regolari raffronti con il dojo kun, che è un parametro di apprendimento nel corso dell'allenamento ma anche uno specchio dell'atteggiamento del singolo in relazione alla comunità. Il dojo kun riflette la proporzione tra giusto e sbagliato nel comportamento personale, instaura l'equilibrio tra dare e avere ed impone il giusto rapporto tra pretesa e disponibilità.
Dojo Kun (Dō = via, jō = luogo) letteralmente significa "luogo in cui si pratica la Via". I Dōjō Kun variano a seconda della scuola. Quelli sotto riportati si riferiscono allo Shotokan.
Hitotsu jinkaku kanseini tsutomuru koto - cerca di impegnarti costantemente
Hitotsu makoto no michi o mamoru koto - cerca di essere giusto e sincero
Hitotsu doryoku no seishin o yashinau koto - dobbiamo cercare di impegnarci con assidua costanza
Hitotsu reigi o omonzuru koto - dobbiamo cercare di agire nel rispetto e nella cortesia
Hitotsu kekki no yu o imashimuru koto - dobbiamo cercare di controllare i nostri istinti
Il karate è fondamentalmente rispetto reciproco, sul quale si basa e il Dōjō kun dovrebbe venire applicato anche al di fuori del Dōjō. Infatti un esempio di questo principio è che nel kumite, praticato da certe palestre, non si può toccare l'avversario, mentre prima di salire sul tatami bisogna fare il saluto al Maestro. I quattro lati del Dojo hanno particolari nomi: la Sede Superiore, ovvero dove sta il ritratto del Maestro fondatore dello stile che viene praticato è chiamato Jo-Za, mentre il lato dove stanno gli allievi, per fare il saluto, è chiamato Shimo-za, ovvero sede inferiore. Nel saluto gli allievi sono sistemati in ordine di cintura, iniziando dalle nere con grado maggiore fino ad arrivare alle bianche. Il lato verso gli allievi di grado più alto è chiamato Jo-seki, mentre invece quello verso le bianche, quindi verso coloro con meno esperienza è chiamato Shimo-seki.
Il karate è via per migliorare il carattere (Ricerca la perfezione del tuo carattere).
Questa prima regola sottolinea l'importanza dell'equilibrio nell'uomo. L'esercizio marziale non coinvolge esclusivamente il corpo: il praticante deve osservare con spirito critico in tutte le situazioni quotidiane che ostacolano il perfezionamento di sé stesso e deve affrontare le asperità interiori con lo stesso vigore con cui intraprende l'esercizio fisico che gli consente di affrontare le difficoltà esterne, lo spirito vigile e analitico deve guidarlo in tutte le situazioni della vita: confusione, pregiudizio, presunzione, egoismo, sopravvalutazione di se stessi, ingiustizia, autocommiserazione e sentimenti incontrollati ostacolano il progresso sulla Via. Imparare a gestire la propria interiorità, al contrario, aiuta a raggiungere l'equilibrio e a vivere un'esperienza enormemente appagante, se per altro l'allenamento fisico, con l'avanzare degli anni, conosce necessariamente delle limitazioni, lo spirito, invece, deve e può essere perfezionato fino alla morte.
Il karate è via di sincerità (Difendi le vie della verità).
Questa regola si esprime nella condotta di vita dell'uomo e nella disponibilità a riconoscere il giusto rapporto tra se stessi e ciò che si ha attorno, presupposto fondamentale per costruire giuste e rette relazioni con le altre persone. Un rapporto proficuo si instaura solo se l'individuo è capace di contemperare le proprie pretese personali con la dedizione e l'apertura verso gli altri, se questo equilibrio viene messo a repentaglio da un comportamento egoistico o superficiale, la comunicazione è soffocata; laddove si pretende più di quanto si dà o si avallano pretese superiori a quanto si è disposti a corrispondere o si promette molto e si mantiene poco, si suscita l'indignazione di quanti si trovano a dover compensare lo squilibrio insorto con un sacrificio superiore al giusto. L'equilibrio tra la pretesa e la disponibilità è il fondamento dello spirito del budo: solo nella verità l'uomo è libero, la pratica di questo principio rende consapevoli, umili e giusti.
Il karate è via per rafforzare la costanza dello spirito (Cura il tuo spirito di ambizione).
Questa regola si riferisce alla realizzazione dell'uomo in relazione ai suoi obiettivi di vita, essa è intimamente connessa ai primi due principi in quanto qualsiasi obiettivo richiede un'analisi approfondita e matura; il progresso, nel budo, può essere conseguito solo attraverso regolarità e costanza nell'esercizio. Le arti marziali possono essere apprese solo con l'autodisciplina, la costanza e la perseveranza, la disciplina è la base di ogni progresso. Se tale regola non viene rispettata dagli allievi, qualsiasi sforzo di miglioramento è vano. Si frequenta un dojo perché si ha uno scopo, ma bisogna assumere la giusta condotta, l'ambizione di nuovi obiettivi, in sé e per sé, non è una forza positiva, lo diventa solo se associata ad un comportamento maturo, al senso della misura e alla conoscenza.
Il karate è via di rispetto universale (Onora i principi dell'etichetta).
Questa regola si riferisce alle norme comportamentali che vanno conservate se si vuol capire gli altri ed essere accettati. La giusta condotta rende l'individuo degno di fede, aperto e semplice, rende possibile la comunicazione con gli altri e contribuisce a mantenere l'armonia nelle relazioni interpersonali. L'etichetta consiste nella forma comportamentale attraverso la quale una persona comunica ad un'altra di essere disponibile ad un contatto aperto; senza le buone maniere la franchezza si tramuta in grossolanità, il coraggio in rifiuto, l'umiltà in sottomissione, il rispetto in servilismo e la cautela in timore: l'etichetta provvede a mantenere la pace e l'armonia tra le persone. Nelle arti marziali l'etichetta trova espressione nei principi enunciati dal Maestro Funakoshi: Senza cortesia viene meno il valore del karate e il karate inizia e finisce con il saluto. Egli definì cortesia e rispetto le basi di ogni educazione ed il saluto il loro simbolo più importante. A livello avanzato tutti conoscono l'importanza del saluto; i praticanti che lo oltraggiano con la propria negligenza si dimostrano immodesti, egoisti e incapaci di adattamento: il modo in cui si effettua il saluto è specchio di sé, i modi sbagliati non sono sempre voluti, rappresentano solitamente una reazione naturale di protezione e timidezza, una maschera. Per questo nelle arti marziali l'etichetta non è solo forma, ma vera e propria via per la ricerca della verità interiore, poiché la pratica impone che la persona osservi e valuti correttamente il proprio comportamento nei confronti degli altri e di sé stesso.
Il karate è via per acquisire autocontrollo (Rinuncia alla violenza).
Questo principio coinvolge la condotta che porta alla formazione di un carattere degno dell'essere umano ed alla sua convivenza con gli altri. Nel mondo animale i modelli comportamentali sono istintivi e servono proprio alla conservazione della specie, l'uomo può forgiare tali modelli grazie al proprio intelletto ed alla propria conoscenza, controllando la misura delle proprie azioni. L'elaborazione di questo concetto porta alla rinuncia della violenza fisica ed allo stesso tempo definisce tutte le forme di ricorso alla violenza quali indegne dell'uomo. Nel budo, e in particolare nel karate, si ricercano l'autocontrollo e la gestione del comportamento; se i praticanti di livello avanzato, capaci di arrecare ferite gravi, impiegassero le proprie capacità come strumenti di supremazia nei confronti delle altre persone, costituirebbero un pericolo per la società e sarebbero sostanzialmente indegni come individui. Quando Funakoshi dice: nel karate non c'è chi attacca per primo intende dire che l'uomo in quanto essere dotato di intelletto ha la capacità di trovare le vie della non violenza se affronta le situazioni controllando il proprio io. Il karate è un'arte di autoperfezionamento e, per raggiungere questo obiettivo, è necessario comprendere a fondo tale principio. La soluzione violenta dei problemi interpersonali è esecrabile e non consente una convivenza serena. L'esperienza secolare mostra che, per eccellere nelle arti marziali, il dojo kun deve accompagnare la preparazione dei praticanti, indipendentemente dal livello, essi devono sottoporre il loro comportamento a regolari raffronti con il dojo kun, che è un parametro di apprendimento nel corso dell'allenamento ma anche uno specchio dell'atteggiamento del singolo in relazione alla comunità. Il dojo kun riflette la proporzione tra giusto e sbagliato nel comportamento personale, instaura l'equilibrio tra dare e avere ed impone il giusto rapporto tra pretesa e disponibilità.
Filosofia
Gichin Funakoshi interpretò il "kara" del karate-dō con il significato di "purificare se stessi da pensieri egoisti e malvagi, perché solo con una mente e coscienza limpida il praticante può comprendere la conoscenza che riceve". Funakoshi riteneva che il karateka doveva essere "interiormente umile ed esternamente gentile". Solamente comportandosi umilmente si può essere aperti alle molte lezioni del karate. Questo può essere fatto solamente attraverso l'ascolto ed attraverso la ricezione delle critiche. Egli considerava la cortesia di primaria importanza. Diceva che "il karate viene propriamente applicato solo in quelle rare situazioni in cui uno deve davvero atterrare qualcuno o essere da lui atterrato". Funakoshi ha ritenuto insolito per un appassionato l'utilizzo del karate in uno scontro fisico reale più di una volta nella vita. Egli disse che i praticanti di karate "non devono mai essere facilmente trascinati in una lotta". Resta inteso che un colpo scagliato da un vero esperto potrebbe significare la morte. Risulta chiaro che coloro i quali fanno un uso distorto di ciò che hanno imparato portano disonore a se stessi.
Gichin Funakoshi interpretò il "kara" del karate-dō con il significato di "purificare se stessi da pensieri egoisti e malvagi, perché solo con una mente e coscienza limpida il praticante può comprendere la conoscenza che riceve". Funakoshi riteneva che il karateka doveva essere "interiormente umile ed esternamente gentile". Solamente comportandosi umilmente si può essere aperti alle molte lezioni del karate. Questo può essere fatto solamente attraverso l'ascolto ed attraverso la ricezione delle critiche. Egli considerava la cortesia di primaria importanza. Diceva che "il karate viene propriamente applicato solo in quelle rare situazioni in cui uno deve davvero atterrare qualcuno o essere da lui atterrato". Funakoshi ha ritenuto insolito per un appassionato l'utilizzo del karate in uno scontro fisico reale più di una volta nella vita. Egli disse che i praticanti di karate "non devono mai essere facilmente trascinati in una lotta". Resta inteso che un colpo scagliato da un vero esperto potrebbe significare la morte. Risulta chiaro che coloro i quali fanno un uso distorto di ciò che hanno imparato portano disonore a se stessi.
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